giovedì 4 ottobre 2012

La corruzione italiana degli “APPARTENENTI”

A chi appartieni?”, chiedevano i nostri nonni, giù nel Salento, per conoscere ascendenze e origini di qualcuno.: La verità è che in Italia, oltre alla corruzione che ha alla base lo scambio di denaro contro favori e benefici politici, aldilà dei risvolti penali che debbono essere rigorosamente puniti, è emersa un’altra forma di corruzione. In questa nuova forma, che chiamerei «corruzione da dipendenza», si privilegia l’appartenenza al gruppo piuttosto che la competenza, anche se nell’”appartenenza”, più che nella “competenza”, si usano sbandierare falsi criteri col lemma ormai di moda della meritocrazia. Questa la premessa: Mi sono ricordata di questa espressione gergale, leggendo Guido Rossi, domenica, sul Sole 24 Ore: “Incompetenti e appartenenti: dove nasce la corruzione”. Il commento del giurista – senatore per la Sinistra Indipendente a cavallo degli anni ’80 e ’90 – riflette sulla corruzione italiana, ne analizza le radici profonde e passa in rassegna i cattivi fertilizzanti. In fondo, si tratta di un’evidenza – quella rilevata da Rossi – talmente incontestabile e ripetutamente provata anche dalle recenti porcate avvenute alla Regione Lazio, da essere diventata poco più di un pleonasmo: c’è forse bisogno di ripetere per la milionesima volta che, in questo Paese, se non appartieni a un gruppo di potere, nelle sue diverse articolazioni rischi persino di non trovare un lavoro, pur avendo dalla propria competenza e preparazione? Accumuliamo scandali che, come bombe, in questi giorni deflagrano provocando scompiglio e rumore, dopo silenzi omertosi e conniventi, ma nessuno osa affrontare la faccia più normale di questa eccezionale corruzione: quella che è diventata cultura, costume, ordinaria amministrazione. Parliamo dell’occupazione militare di società pubbliche, autorità “indipendenti”, istituzioni locali e nazionali, che i partiti politici al governo perpetrano da decenni, al posto di concorrere – come vuole l’art. 49 della Costituzione – “con metodo democratico a determinare la politica nazionale del Paese”. Gruppi di potere, diventati, di fatto, uffici di collocamento paralleli, che operano secondo logiche di affiliazione tipicamente mafiose: dunque, opache, fuori dalle regole, anti-democratiche. Il tema delle regole diventa, dunque, cruciale. Per questo è così difficile da affrontare. E per la stessa ragione non si riesce a trovare un accordo sulla legge elettorale. Scrive Rossi: […] la riforma elettorale [è] il vero strumento per combattere le oligarchie, la corruzione, la lottizzazione, l’illegalità criminale e non e lo svuotamento del processo democratico elettorale. Se non vogliamo che anche la nostra Repubblica vada perduta e che il sogno di una giustizia sociale, la quale risolva le sempre più drammatiche ineguaglianze che ragioni non solo economiche hanno creato, dobbiamo sollecitare il governo tecnico, frutto di uno stato di eccezione, affinché provveda con priorità assoluta alla riforma della legge elettorale, che porti alla diminuzione della corruzione e dei costi della politica e delle vaste illegalità malavitose. L’altro ieri, il dossier presentato da Libera, Legambiente e Avviso Pubblico, “Corruzione, le cifre della tassa occulta che impoverisce ed inquina il paese”, ci ha ricordato che la corruzione ci costa 10 miliardi di euro ogni anno e che il 12 per cento degli italiani si è vista chiedere una tangente negli ultimi 12 mesi. Le associazioni hanno chiesto di approvare rapidamente il disegno di legge anticorruzione. Già sapevamo, però, che nella classifica internazionale, stilata ogni anno da Transparency International, l’Italia è retrocessa al 69° posto su 182 paesi presi in esame, in compagnia del Ghana, con un indice di 3,9 su una scala da 1 a 10, dove 10 indica il livello minimo di corruzione. Forse, è utile aggiungere che la corruzione si combatte prima di tutto aggredendo i patrimoni dei corrotti come indicato, più di trent’anni fa, da Pio La Torre a proposito della mafia. Ed è importante, in questa prospettiva, che i beni ottenuti illecitamente e confiscati, siano restituiti ai cittadini, tradotti in servizi ed impiegati per la cura dei beni comuni. Il rischio, altrimenti, è che i magistrati mettano in carcere altri cento Fiorito, ma che il sistema beffardamente continui a riprodursi tale e quale. Con indosso una testa di porco per non farsi riconoscere. Ilaria Donatio--MICROMEGA

Nessun commento:

Posta un commento