mercoledì 7 luglio 2010

L’amore per il prossimo, non la retorica dell'amore





Crimini nascosti, distorsione della sessualità, abusi, negazione dei diritti e della giurisdizione civile: gli scandali del potere
Stefania Friggeri
Un malevolo “chiacchiericcio”, attacco paragonabile agli “aspetti più vergognosi dell’antisemitismo”, e così via fino al “complotto” anticattolico, linea di difesa tipica del mondo berlusconiano. No, non è così che la gerarchia cattolica può superare lo scandalo pedofilia, ma facendo chiarezza, aprendo archivi e rispondendo al bisogno di trasparenza e democrazia delle società moderne. A una Chiesa ingessata e calcificata nella tradizione, gli scandali offrono l’opportunità di interrogarsi sulle distorsioni istituzionali, riaprendo innanzitutto il capitolo sessualità perché ogni abuso sessuale è in primo luogo abuso di potere.
Nelle prime comunità cristiane il prete non aveva prerogative che lo rendessero appartenente a una casta, non esistevano luoghi appartati vietati alle donne in cui formare gli aspiranti al ministero, eletti dalla comunità. Solo successivamente si è organizzata una struttura separata e gerarchica mutuata dall’impero romano dove il religioso, munito di “sacra potestas”, gode di investitura divina che ne fa una figura diversa dagli altri mortali, membro di una mistica corporazione. La Chiesa, in quanto “societas perfecta”, è sottoposta solo alla legge di Dio, cioè di chi ne fa le veci sulla terra brandendo il diritto canonico: in caso di contenzioso, prevale sul diritto civile.
Come si evince dalla lettera inviata nel 2001 da papa Wojtyla al vescovo P.Pican, lodato per “non aver denunciato un prete all’amministrazione civile” e “aver preferito la prigione piuttosto che denunciare il suo figlio-prete”, accusato di pedofilia. E nel rapporto Murphy: “La sola preoccupazione dell’arcidiocesi di Dublino era quella di mantenere la segretezza, evitare lo scandalo, proteggere la reputazione della Chiesa e i suoi beni. Tutto il resto, incluso il benessere dei bambini e la giustizia per le vittime, era subordinato a queste priorità”.
Nelle nebbie del “troncare, sopire, tacere” ha però rischiato Ratzinger poiché contro di lui (allora Prefetto per la Dottrina della Fede, ex Sant’Uffizio) nel febbraio 2005 spiccò un ordine di comparizione la Corte texana di Harris accusandolo di “ostruzione alla giustizia” (ma, eletto papa nell’aprile, come capo di Stato ottenne l’immunità diplomatica). L’ordine di comparizione era motivato dall’Epistola “De delictis gravioribus” (lettera sui delitti più gravi), inviata da Ratzinger agli episcopati di tutto il mondo nel pieno della tempesta preti-pedofili: “le cause di questo genere sono soggette al segreto pontificio”, ovvero al più rigido dei segreti previsti dal diritto canonico dopo il sigillo della confessione; il segreto è imposto non solo per il tempo necessario a esaurire il processo (forma estrema di garantismo) ma deve essere “perpetuo”. Inoltre la Lettera si richiama al “Crimen sollicitationis” (1962), che ordina ai rettori delle diocesi di istruire i processi, a carico dei preti accusati di abusi, nel massimo della segretezza, pena la scomunica. Viene cioè prevista una pena più grave per la vittima, se parla (la scomunica) che per il reo se tace (riduzione allo stato laicale). Il pedofilo è al massimo un peccatore, un problema interno alla Chiesa, non l’autore di un crimine da denunciare all’autorità giudiziaria. E non solo perché la giurisdizione canonica è considerata superiore a quella civile, ma anche perché la retorica dell’amore per il prossimo si infrange contro la mancanza del rispetto dei diritti umani: come prova anche il rifiuto del Vaticano di firmare le varie Dichiarazioni, la Convenzione internazionale sulla parità uomo-donna, ecc. Come se la dignità della persona potesse essere assicurata senza concrete garanzie politico-giuridiche. Ma se la pedofilia è sempre esistita perché oggi indigna tanto? Perché oggi il minore è soggetto di diritti, o meglio: lo è dove la cultura, evolvendosi, si è umanizzata e la pedofilia si è rivelata per quello che è: un abuso ingiustificabile. Rovinoso per le vittime.
Ma in verità da sempre la Chiesa ha dovuto affrontare il tema degli abusi sessuali che, negli anni in cui si poteva comprare l’assoluzione, venivano così puniti da Leone X: “Se l’ecclesiastico, oltre al peccato di fornicazione, chiedesse d’essere assolto dal peccato contro natura o di bestialità, dovrà pagare 219 libbre, 15 soldi. Ma se avesse commesso peccato contro natura con bambini o bestie e non con donna, pagherà solamente 131 libbre, 15 soldi” (Taxa Camerae, 1517). E l’uso adescatorio del confessionale era così noto che nelle “Istruzioni per fabbricare le suppellettili ecclesiastiche” il card. Borromeo ordina che i confessionali abbiano “la parte frontale completamente aperta” e un divisorio a impedire il contatto fisico.
Oggi come principale responsabile viene additato il celibato. Ma la pedofilia non si spiega solo col celibato, anche se il tema va affrontato: non tanto perché rinunciarvi aiuterebbe a risolvere la crisi delle vocazioni, ma soprattutto perché la Chiesa potrebbe avviarsi a superare la separatezza che nutre la casta, imbevuta di un concetto sacro e idolatrico dell’autorità.
Per sradicare la pedofilia riconosca la Chiesa la connessione fra sesso (maschile) e potere, cerchi di sradicare la sete di alterità, di superiorità e dominio dalla sfera del sacro. Se la Chiesa accettasse la sessualità come attitudine naturale, non inclinazione peccaminosa da superare in chiave ascetico-sacrificale, se rinunciasse a proporsi come casta libera dalle impurità del corpo, separata ed elitaria, se rompesse il nesso sesso-potere, forse gli abusi sessuali sarebbero ridimensionati

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