domenica 4 luglio 2010

La maternità è un lusso?



La genitorialità come libera scelta che coinvolge la collettività e basata sulla condivisione delle responsabilità
Serena Sorrentino
La maternità per il Governo attuale è un dovere sociale. Per molti è invece una scelta che deve essere compiuta liberamente e che va resa compatibile con la salvaguardia delle proprie esigenze di vita attraverso l’intervento pubblico in termini di servizi ed assistenza volti alla conciliazione. Per noi oltre che libera scelta è anche un diritto che va tutelato in ogni suo aspetto: concepimento/adozione/affido, tutela della salute, accompagnamento sociale, servizi all’infanzia, percorsi di reinserimento lavorativo e modulazione degli orari che rendano la maternità compatibile con il lavoro, senza rinunciare alla professione ed all’impiego né tanto meno alla scelta di accompagnare la crescita e l’educazione i propri figli. Si dirà che la legislazione vigente già interviene in materia in modo organico, il punto in questione diventa però l’esigibilità di tali diritti. Eppure oggi i congedi parentali sono un tema “sensibile” non solo “gender sensitive”. Non solo i dati indicano che le donne dopo la maternità sempre più spesso non rientrano al lavoro, ma ci indicano anche che la scelta dipende da fattori tra loro concomitanti: servizi pubblici scarsi e servizi privati onerosi per cui tra costi dei servizi e reddito quasi conviene rinunciare al lavoro che spesso non solo è precario ma produce anche scarso reddito; la scarsa propensione delle aziende a concedere una flessibilità reversibile e funzionale che consenta maggiore integrazione tra esigenze di vita, cura, lavoro. Tali tendenze accentuano ancor di più le disuguaglianze sia territoriali che sociali. Indubbiamente chi ha mezzi economici propri riesce a risolvere il problema della conciliazione anche laddove non esistano reti parentali (nonne e nonni) che suppliscano alla carenza di servizi pubblici, chi non li ha e non riesce a trovare spazio nelle graduatorie pubbliche davanti a sé non ha grandi opportunità. Dal punto di vista territoriale la maggioranza delle istanze presentate all’Inps di accesso al congedo parentale si concentrano nel centro nord (1 su 4 nel settore privato è in Lombardia) dimostrando la scarsa presenza delle donne nel mercato del lavoro meridionale. Comincia ad aumentare anche la quota di accesso degli uomini al congedo (oggi sono il 7,5% del totale) ma non tra coloro che hanno contratti a tempo determinato e che chiaramente sono spaventati dalla possibilità di perdere il posto di lavoro e pochi anche i casi tra i part-time, che rimane appannaggio delle donne lavoratrici. Eppure la discussione sul tema in un continente, l’Europa, preoccupato dalla scarsa natalità e dall’invecchiamento della popolazione è quanto mai attuale tant’è che la Commissione Europea sta discutendo il riordino in materia introducendo norme estensive per una genitorialità basata sulla condivisione delle responsabilità, come il prolungamento dei periodi di copertura fino a 24 mesi, misure di sostegno al reddito e di revisione dei tetti di indennità di maternità/paternità, divieto di licenziamento, norme prescrittive sulla tutela della salute delle donne, solo per citare alcuni titoli. Ovviamente nel nostro Paese siamo in controtendenza. L’Europa pone tra gli obiettivi di servizio quali per l’infanzia per colmare il differenziale territoriale ed aumentare l’offerta e da noi vi è incertezza sul Piano Nidi, si tagliano risorse agli Enti Locali, seguendo la filosofia del Libro Bianco sul welfare in cui anche la “cura” dei figli è prima di tutto una responsabilità individuale e pertanto un fatto privato. Lo stesso accordo sul modello contrattuale e il ddl 1167 vanno nella direzione contraria a quella di migliorare le condizioni di lavoro tale che sia possibile per le madri ed i padri. Limitare gli spazi di contrattazione decentrata, cancellare il potere delle rappresentanze sindacali dei posti di lavoro, impedisce di fatto quella contrattazione su orari, organizzazione del lavoro, sulla gestione delle attività che può rappresentare un utile strumento di prossimità in cui le esigenze di lavoratrice/ore ed azienda possono essere meglio interpretate fermo restando le tutele normative esistenti sul fronte assistenza, copertura economica, salute e su quelle lavoristiche. Il ddl 1167 prevedendo tra l’altro che all’atto dell’assunzione venga imposta la scelta rispetto alla possibilità, in caso di contenzioso, di rivolgersi all’arbitro o al giudice del lavoro, quando cioè lavoratrici e lavoratori sono più deboli, influirà non poco. Infine il Governo si è affrettato da subito a cancellare la legge 188 fortemente sostenuta dalle donne e dalla Cgil contro le dimissioni in bianco che tutelavano prioritariamente lavoratrici allorquando subentrava la maternità dal rischio del licenziamento. Anche la maternità in definitiva rientra tra quei temi che non possono essere affrontati “burocraticamente” ma va contestualizzata sia rispetto alla riconquista di forme di lavoro strutturato, di flessibilità positive (cioè determinate da una scelta consapevole e reversibile) di contrasto alle forme di precarietà del lavoro e di consolidamento dei sistemi di welfare territoriale, in cui la comunità si renda partecipe dei processi di conciliazione adeguando attraverso la pianificazione e programmazione degli orari, dei tempi, di servizi e attività l’integrazione tra genitorialità e attività lavorativa. Come Cgil non solo ciò fa parte della riflessione che affrontiamo nella proposta politica che presentiamo al XVI Congresso (5/8 maggio 2010, ndr), ma è oggetto della nostra attività di lavoro quotidiano. A tal fine infatti grazie anche alla strutturazione dell’osservatorio sulla contrattazione sociale e all’attività di interrelazione dei settori del welfare, delle pari opportunità, delle categorie, dei territori e del rapporto con gli Enti Locali e le aziende, abbiamo costruito la nostra piattaforma sul benessere che mette al centro le politiche di sostegno all’infanzia, alla genitorialità, assumendo la centralità del lavoro come valore sociale. Molte ragazze e ragazzi scelgono di ritardare l’esperienza della genitorialità perchè l’insicurezza sociale spaventa e diminuisce le aspettative sul futuro e quando vi arrivano vanno incontro a rischi diversi che riguardano non solo la salute. Combattere le disuguaglianze, immaginare un futuro in cui non ci si rassegni ad un destino fatto di precarietà per le nuove generazioni, in cui a prescindere dalla nazionalità donne e uomini possano esercitare nelle varie forme la genitorialità come scelta libera, che accresce la comunità e di cui essa si fa carico non può essere un fatto che riguarda i singoli bensì la collettività. E’ una battaglia culturale, di civiltà che combatte visioni etiche, familiste, xenofobe e discriminatorie.

Nessun commento:

Posta un commento