Non è un paese per donne "Il nostro paese sottolinea a parole il valore della famiglia, ma non fa granchè per sostenerlo effettivamente..."
domenica 2 maggio 2010
Congedo di maternità, non diritto ma privilegio. Parola di Mariastella Gelmini
di Cecilia M. Calamani [1 mag 2010]
Il congedo di maternità è “un privilegio”. In perfetto sincronismo con la festa dei lavoratori, questa è la sconcertante dichiarazione al Corriere della Sera di Mariastella Gelmini, ministra dell’Istruzione. La quale, non contenta, prosegue: “Una donna normale deve certo dotarsi di una buona dose di ottimismo, per lei è più difficile, lo so; so che è complicato conciliare il lavoro con la maternità, ma penso che siano poche quelle che possono davvero permettersi di stare a casa per mesi. Bisogna accettare di fare sacrifici”.
Forse, cara ministra, sono poche quelle che possono permettersi di tornare a lavorare, in quei cinque mesi. Probabilmente Lei non sa neanche cosa significhi, con uno stipendio da operaia o da impiegata, avere un figlio. Per Lei, il problema più grande sarà trovare un paio di tate tuttofare, che La seguano nelle trasferte a Roma portandoLe la Sua bimba per le poppate. Le notti in bianco, occuparsi della casa e dei figli, fare la spesa, pulire, cucinare, far quadrare il bilancio familiare, pagare le bollette e le rette degli asili nido non sono problemi di cui Lei risentirà, dall’alto della Sua posizione privilegiata. Con quale coraggio, e soprattutto con quale faccia, chiede alle lavoratrici madri dei ‘sacrifici’?
Oggi è la festa dei lavoratori. Delle lotte operaie e sindacali che hanno permesso il riconoscimento dei loro diritti, ai quali si attenta quotidianamente con forme di lavoro da strozzinaggio per eludere proprio quelle conquiste – e il congedo per maternità è una di esse – pagate a caro prezzo negli anni Settanta con serrate, scioperi e sacrifici, quelli veri, non quelli di cui Lei si riempie la bocca.
Lei, dal suo scranno ministeriale, parla di madri lavoratrici senza sapere di cosa stia parlando; legifera sull’istruzione senza aver mai insegnato; propone la regionalizzazione della scuola pubblica quando Lei per prima, per passare l’esame da procuratore, si è trasferita nel profondo Sud, a Reggio Calabria, dove essere bocciata sarebbe stata, negli anni intorno al 2000, una singolare eccezione. Lei pontifica, oggi, sul merito, quando non ha disdegnato le scorciatoie dei furbetti per ottenere il titolo di avvocato di cui si fregia; Lei si permette di parlare di diritti e sacrifici alle donne che non hanno avuto un ‘papi’ prima, che potesse permettersi di mantenerle durante il praticantato in altra città, e un ‘Papi’ dopo, a portarle in palmo di mano a sedere in Parlamento e poi nel Consiglio dei ministri.
Ma ciò che è veramente triste, ministra Gelmini, è che Lei, donna, vada contro le donne, quelle ‘privilegiate’ alle quali un contratto di lavoro a tempo indeterminato – laddove resista ai licenziamenti in massa derivanti dalla crisi – permette di sostenere l’onere di una maternità. Alle altre, infatti, le innumerevoli lavoratrici a contratto o a chiamata, è preclusa, anche grazie al Governo che Lei rappresenta, l’idea stessa di futuro.
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