domenica 18 novembre 2012

FARSI L’AUTOCRITICA E ANDARE IN PIAZZA CON LORO

La nostra generazione, deve sentire il bisogno di recuperare agli errori commessi e aiutare i giovani. I nostri figli e nipoti sono nelle scuole occupate e nelle piazze a protestare per difendere l’istruzione pubblica e il loro futuro. Si trovano in queste condizioni non per loro responsabilità, siamo noi adulti che abbiamo creato questa condizione politica e sociale. Le nostre scelte sbagliate, l’opportunismo, il nostro silenzio e la voglia di non vedere per conservare il piccolo privilegio, ha letteralmente cancellato valori e prospettive. Abbiamo avallato e legittimato con il voto della maggioranza degli italiani, una classe politica incapace, corrotta e a volte collusa con la criminalità organizzata. Siamo diventati poveri e abbiamo tolto la speranza di un futuro per i giovani per il nostro egoismo e la voglia di arrivare a qualunque costo. Adesso l’unica cosa da fare per le giovani generazioni, è unirsi a loro, ascoltarli e cercare insieme prospettive, economiche , sociali e culturali adeguate alle esigenze della collettività. Piera Repici Roma,19/11/2012

giovedì 15 novembre 2012

FERMIAMOCI A RIFLETTERE SUL DESTINO DELLA NOSTRA SCUOLA

Appare evidente che con l’autonomia funzionale le scuole hanno assunto i caratteri di organizzazioni monocratiche, incentrate sul ruolo e sulle funzioni del dirigente scolastico, che li allontanava sempre più dalla loro natura di comunità professionale; da quella possibilità di scambio di esperienze “tra pari”, che sono proprie delle comunità di apprendimento, ove il sapere dell’uno viene messo a disposizione dell’altro. Il progetto di legge 953 di riforma degli organi collegiali della scuola dell’on. Aprea, approvato lo scorso 10 ottobre dalla Commissione Cultura della Camera, in sede legislativa, accresce la frattura tra il capo di istituto e il corpo docente, rafforza dunque il loro potere (già enorme): se gli statuti non saranno “illuminati” e non prevederanno un bilanciamento dei poteri, i dirigenti assumeranno gran parte delle competenze fino ad oggi in mano al Collegio docenti e al Consiglio d’Istituto; la legge Brunetta inoltre completerà i poteri per quanto riguarda la gestione del personale. Ben diversa, dall’autonomia statutaria delineata nel progetto di legge 4121, presentato dai deputati Laratta e Marini, il 25 febbraio 2011, rimasto quasi sconosciuto agli operatori della scuola. In questo progetto infatti, l’autonomia statutaria è collocata all’interno di una nuova architettura democratica dell’organizzazione scolastica che garantisce ad ogni componente partecipazione e corresponsabilità nelle scelte e nei risultati, con un rinnovato disegno dei poteri gestionali, distinti da quelli di indirizzo, affidati ad un organo collegiale dotato di ampie competenze e con un dirigente scolastico eletto e a tempo che, oltre a possedere un alto profilo culturale e professionale, goda anche di quella autorevolezza necessaria che solo la comunità nella quale opera può riconoscergli. Inoltre disegna un nuovo profilo professionale dei docenti, non più lasciato al solo scorrere dell’anzianità del servizio ma, per chi lo vorrà, aperto ad una prospettiva di sviluppo professionale, non molto diversa da quella dei docenti universitari e, come per questi, la possibilità per coloro che sono in possesso di uno specifico profilo culturale e professionale, di essere eletti preside di un’istituzione scolastica. Ciò, non tanto per gratificare una categoria professionale, ormai considerata semplicemente “risorsa”, ma come condizione per operare un effettivo cambiamento di direzione dell’asse dell’organizzazione scolastica, dal versante burocratico e amministrativo a quello di un’efficace gestione del processo di insegnamento-apprendimento, attraverso la valorizzazione del ruolo dei docenti nella gestione di tale processo e nel governo delle istituzioni scolastiche. Un ritorno della scuola, sul processo di insegnamento-apprendimento, che trova legittimazione nella Carta Costituzionale. Piera Repici Roma,16/11/2012

domenica 11 novembre 2012

I MIEI MIGLIORI ANNI

Cari ragazzi e colleghi, la vostra vivacità e voglia di costruire una scuola e un futuro dove regni la giustizia e la democrazia, mi hanno fatto rivivere "i miei migliori anni". Voi state costruendo un nuovo 68, ma le basi sono più solide di quelle che avevamo noi, perchè la mia generazione non ha avuto la maturità, la forza e la costanza necessari, per questo siamo riu sciti solo in parte a realizzare il nostro sogno di una società più partecipata e socialmente più equa. Voi avete la motivazione forte e gli strumenti culturali per farlo, lo dimostra il comportamento quasi sempre responsabile e l'entusiasmo di questi giorni, sono felice per questo, qualche risultato educativo la nostra generazione pare l'abbia ottenuto. Sono certa, voi potete portare a compimento un sogno che noi non abbiamo potuto e forse non voluto fortemente realizzare. PIERA REPICI

domenica 4 novembre 2012

violenza psicologica

--Chi è sottoposto a violenza psicologica si trova in uno stato di stress permanente.
--Parole, gesti, toni allusivi, offese velate o esplicite che possono umiliare, distruggere lentamente ma in profondità, senza sporcarsi le mani. --Dietro agli sguardi sfuggenti o sfidanti e disperatamente provocatori di molte donne, si possano celare situazioni di violenza psicologica, esercitata all’interno della sfera privata. Non ci sono solamente le violenze fisiche che comunque segnano profondamente le persone, esistono quelle psicologiche che non lasciano lividi sul corpo, ma che nel tempo producono ferite, dentro le persone, e che segnano profondamente la loro vita. Ci sono aggressioni che non agiscono direttamente sul piano fisico come uno schiaffo, una spinta, un pugno, un calcio. Possono essere violente le parole? Possono i toni di voce o i silenzi, togliere ogni sicurezza e gioia di vivere? Sì, ci sono parole che possono ferire come pugnali, possono essere usate per umiliare e distruggere una persona. Un clima di disapprovazione continua dove qualsiasi atteggiamento o comportamento viene ritenuto sbagliato, inadatto. --“..non sai fare nulla, sei proprio una persona inutile, che cosa vuoi parlare tu che non sei nessuno, solo una povera idiota potrebbe fare quello che fai tu..” – queste parole instillate, giorno dopo giorno, attuano un processo di distruzione psicologica spesso irreversibile. Parole, gesti, toni allusivi, offese velate o esplicite che possono umiliare, distruggere lentamente ma in profondità, senza sporcarsi le mani. Ma esistono manovre più nascoste come il sarcasmo, la derisione continua, il disprezzo, espresso anche in pubblico con nomignoli o appellativi offensivi, mettendo costantemente in dubbio la capacità di giudizio o di decisione. Questo meccanismo, protratto nel tempo, destabilizza una persona fino a distruggerla e senza che chi le sta intorno possa accorgersene ed intervenire. La vittima di violenza psicologica è paralizzata, confusa, sente il dolore, la sofferenza emotiva, ma non riconosce l’aggressione subita. Il problema relativo alla violenza psicologica, infatti, è relativo al riconoscerla, alla consapevolezza di esserne vittime. --Le donne sottoposte costantemente a questo clima ‘vacillano’, cominciano a dubitare dei propri pensieri, dei propri sentimenti, si sentono sempre in colpa, inadeguate e spesso si isolano o vengono isolate perché assumono comportamenti non spontanei, scontrosi, lamentosi o ossessivi con le persone che intorno non comprendono e giudicano negativamente. Così la donna resta isolata, senza appoggio. --Occorre chiedere aiuto, occorre venire aiutati da esperti. I segnali di malessere si possono individuare nei disturbi del sonno, nell’irritabilità, nell’insorgenza frequente di mal di testa e cefalee, nei disturbi gastrointestinali o in un continuo stato di apprensione, di tensione costate e di ansia. Questi possono essere considerati segnali di disagio di cui è opportuno verificare l’origine per poter prendere consapevolezza delle aggressioni subite, comprendere perché le si è assorbite e ridefinire i propri limiti di tollerabilità, in modo che non vengano mai più oltrepassati. 3 novembre 2012 Sostienici: reteinterattiva@gmail.com

giovedì 1 novembre 2012

“Nella scuola la speranza di riscatto del Paese"

“È un dramma che chi governa non creda più nella scuola pubblica. Significa pensare che davanti a noi non c’è un futuro che possiamo costruire”. Lei è una preside, è stata un’insegnante, cosa pensa delle discusse norme sulla scuola contenute nella Legge di Stabilità del Governo? Come ne escono gli insegnanti e la scuola pubblica italiana? In generale si ha la percezione che non si creda davvero che una buona scuola è la nostra vera possibilità di riscatto dal presente difficile. E questo è un dramma perché non credere nella scuola significa pensare che non c’è davvero davanti a noi un futuro che possiamo costruire. Diversamente un governo si impegnerebbe moltissimo in un sostegno ragionato alla scuola pubblica. Ragionato perché la crisi c’è e bisogna mettere in atto un’economia della sobrietà dei mezzi. Ma il sottotesto di molte dichiarazioni pubbliche dei nostri ministri ci racconta la convinzione che in fondo i ragazzi abbiano molte colpe. In realtà noi stiamo consegnando loro un mondo pieno di ingiustizie che facciamo finta di non vedere, un mondo che abbiamo costruito noi adulti. Se oggi i ragazzi hanno dei sogni sbagliati, e credo che spesso lo siano, tipo il sogno di essere famosi, di apparire, di essere ricchi e potenti, di non faticare, dobbiamo però dire che questo tipo di sogno lo abbiamo coltivato noi. Adesso si deve far sì che i ragazzi siano capaci di coltivare i loro sogni. E la scuola e la cultura servono a questo. A rendere i figli critici verso i loro padri, a fare meglio di noi. Noi abbiamo permesso cose tremende, e loro non devono farlo. Di quali cambiamenti o risorse necessita la Scuola? Ha bisogno di un contesto di persone che credono nella scuola. Nella scuola pubblica. Abbiamo avuto ministri dell’istruzione in perenne conflitto con gli insegnanti. Ma si può? E poi ci vuole un progetto di scuola che davvero favorisca la mobilità sociale, che non moltiplichi le disuguaglianze. Oggi tutte le ricerche ci dicono che la scuola fa da moltiplicatore delle disuguaglianze sociali. Chi è già bravo, perché viene da famiglie in cui ci sono risorse e cultura, va avanti, gli altri rinunciano. Se la scuola non dà opportunità a tutti, sono sempre i poveri a perdere. Poveri di cultura e di risorse. Ministro Gelmini e Ministro Profumo. Quale dei due è più vicino alla sua idea di Scuola? I tagli del ministro Gelmini sulla scuola sono stati nella sostanza privi di un disegno riconoscibile. Ad esempio è stata colpita la scuola primaria, che era nelle indagini internazionali una scuola di eccellenza, e non la scuola media, che invece risente di una crisi grave ormai da molti anni. Poi ha rivoluzionato i licei, ma anche qui senza che fosse chiaro l’intento. Un esempio: l’abolizione del laboratorio di fisica-chimica nell’indirizzo scientifico sperimentale. Finalmente molte scuole si erano attrezzate e avevano i laboratori, tutte le indicazioni internazionali dicono di favorire la didattica laboratoriale, e invece noi no. Sparito tutto. E poi lo snaturamento degli istituti professionali che con la loro articolazione in 3 anni (per la qualifica) più due (per la maturità) hanno dato per tanto tempo una possibilità a studenti che arrivavano incerti sulle loro capacità, non sicuri di poter continuare la scuola. E poi invece restavano e andavano all’università, o al lavoro ma con una qualifica. Non rimpiango il ministro Gelmini. Il ministro Profumo si è circondato anche di persone che hanno fatto cose splendide per la scuola, penso a Marco Rossi Doria che è sottosegretario. Ma il ministro conosce soprattutto l’università e non sempre ha dato l’impressione di saper difendere la scuola pubblica. Tanti suoi interventi sono stati estemporanei, una volta sull’orario di lavoro, un’altra sui concorsi. La scuola è una realtà delicatissima. I ragazzi sono ‘choosy’ secondo il Ministro del Lavoro Elsa Fornero. Lei che ne ha educati come insegnante moltissimi, ritiene che siano schizzinosi? Ho insegnato in un istituto professionale per venticinque anni, la realtà meno ‘choosy’ che si possa immaginare. I miei studenti lavoravano a partire dalla seconda, e facevano di tutto. Il problema non è questo. Il problema è cosa sognano. Sognano di essere ricchi e famosi. Dovrebbero sognare di essere felici, star bene, migliorare il mondo. Dovrebbero credere di poterlo fare. Come giudica la proposta dell’introduzione nell’ora di religione dell’insegnamento dell’Islam nelle scuole italiane? Amartya Sen ha scritto qualcosa che condivido profondamente: la scuola non può coltivare ed enfatizzare le differenti singole identità. Suona apparentemente bene “scuola cattolica”, “scuola musulmana”, “scuola laica”. Ma se fin da piccoli ci si riconosce esclusivamente o soprattutto in un’unica identità, domani ci aspetta la guerra. Perché non ci si conosce e noi temiamo ciò che non conosciamo. Ciascuno di noi è molte cose insieme, dice Amartya Sen. La scuola deve essere un laboratorio di convivenza delle differenze, perché così si costruisce la società comune.
intervista a Mariapia Veladiano di Mariagloria Fontana Mariapia Veladiano:scrittrice vicentina, teologa e preside, di cui è uscito in questi giorni il secondo atteso romanzo (“Il Tempo è un Dio Breve”, Einaudi) dopo il fortunato esordio con “La vita Accanto” (premio Italo Calvino 2010 e finalista al Premio Strega 2011).---MICROMEGA