mercoledì 1 dicembre 2010

sesso e potere


Chi si ricorda più dello scambio sesso e potere?
di Lea Melandri
La“mercificazione del corpo femminile”, altra evidenza rimasta a lungo invisibile. Perché se ne parla solo ora? Ma, soprattutto, il modo con cui se ne parla ci aiuta effettivamente a portare fuori dal silenzio in cui è stata confinata la “naturalizzazione” del dominio maschile sulla vita intera della donna? La sua messa a tema dipende sicuramente da quanto detto sopra –doti estetiche, prestazioni sessuali compensate con denaro o cariche istituzionali-, ma anche dal fatto che, per quanto volutamente ignorata, esiste una cultura femminista che ne ha scritto e parlato a lungo. A ciò va aggiunto un cambiamento che riguarda invece la generalità delle donne e che può essere letto sotto il profilo di una, sia pur discutibile e contraddittoria, “emancipazione”: attributi tradizionali del femminile, come la seduzione e il materno, che escono dagli ambiti ristretti della casa e dei legami intimi per proporsi nello spazio pubblico nelle modalità richieste oggi dal mercato capitalistico. Le donne si fanno “soggetto”, prendono parola per denunciare le logiche di potere dentro le quali si sono collocate, ma non si sottraggono a nuove forme di “oggettivazione”. L’assunzione di un ruolo attivo nel decidere della propria vita impedisce di considerarle delle “vittime”, ma d’altro canto non può essere considerata “libertà” la scelta di vendere il proprio corpo o di mettere a profitto erotismo, sentimenti, affetti.

Il femminismo ragiona da anni sul rapporto sessualità e politica, su pratiche di liberazione e processi emancipatori legati agli sviluppi dell’economia e delle leggi, su autonomia e subalternità nella visione del mondo, ma inspiegabilmente è stato ignorato proprio quando avrebbe potuto dare un contributo essenziale di analisi. E la messa sotto silenzio purtroppo è stata anche l’effetto dell’eccessiva rilevanza che in alcuni casi le femministe stesse hanno dato alle “nuove figure femminili”, elogiate come espressione di “autorevolezza e libertà” per aver messo a nudo l’arroganza del potere. E’ come se tra il discorso dei media sulle donne, “sequestrato dall’immaginario berlusconiano” (Ida Dominijanni) e le donne reali “che non sono né veline né escort” non ci fosse che un vuoto, l’assenza di una storia che è venuta da decenni modificando la coscienza che le donne hanno di sé, spostando rapporti di potere e ripensando l’idea stessa di libertà, come ricerca di autonomia da modelli interiorizzati. E’da questo patrimonio di idee e di cambiamenti profondi del sapere di sé e del mondo che poteva venire un gesto di ribellione meno complice delle stesse logiche di sfruttamento che denuncia, una parola capace di riconoscere l’ambiguità di figure femminili tentate dall’illusione di capovolgere la schiavitù in dominio, la mancanza in risorsa. Solo la cultura prodotta dal movimento delle donne, in un paese dove il rapporto tra i sessi non è mai entrato tra le questioni essenziali della politica, poteva svincolare lo scambio sesso e denaro dall’eccezionalità di un potere personalizzato, assillato da un sogno di onnipotenza e da una patologica ossessione dell’ “eterno femminino”.

La denuncia che le donne fanno dell’uso che il potere fa dei loro corpi, dice Gad Lerner intervistato da “Leggendaria”, ha “effetti destabilizzanti”. Ma di quale potere stiamo parlando? Di quello che gode oggi in Italia del maggiore consenso politico, o di quello diffuso, trasversale a tutte le classi sociali, che considera il corpo femminile una proprietà “naturale”? Non sta forse in questo tratto comune del “potere virile” tradizionalmente inteso una delle ragioni che, al di là degli interessi e dei bisogni di singoli e classi, ha permesso finora al governo di Berlusconi di passare indenne da un terremoto all’altro?

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