mercoledì 7 luglio 2010

La violenza in famiglia sulle donne? Per lo Stato è un affare privato



di Annamaria Bernardi
Il punto cruciale è che c'è scarsa, scarsissima, sensibilità, da parte delle istituzioni, per tutto ciò che riguarda le vicende familiari. Lo Stato è invasivo, al limite dell'insopportabile, quando si tratta di punire una famiglia (per esempio strappando il figlio a una famiglia conflittuale o non assentendo a un'adozione); è del tutto latitante quando, invece, dovrebbe impegnarsi a prevenire quelle che poi si rivelano autentiche tragedie. Nessuno può immaginare quante denunce connesse a rapporti familiari vengano trascurate, archiviate o rimesse. Magistrati e forze dell'ordine fanno, troppo spesso, i preti che mediano inutili e ipocriti accordi pseudopacificatori: dovrebbero invece onorare il loro ruolo, anche, cercando di capire che, la maggior parte delle volte, la vittima ritira la denuncia perché è ricattata dal violento o dal persecutore.
L'ultimo pluriassassino, in ordine di tempo, aveva precedenti penali per minacce e danneggiamenti, era stato denunciato dalla vittima e da altre per una decina di volte. Chi, sapendo, ora si deve sentire corresponsabile dei suoi due sanguinari e mostruosi omicidi? Certamente, anche chi è pagato per prevenire, fermare, giudicare la violenza e non l'ha fatto. Per incuria, incapacità, cinica indifferenza.
Eppure le leggi ci sono. Ma restano inapplicate. A Milano, in verità, c'è un efficiente «pool familiare» ben coordinato tra polizia e procura: il personale è stato appositamente formato a comprendere e gestire al meglio i patologici rapporti interfamiliari. Dunque, chi ne è investito, di volta in volta sa comprendere, soprattutto in caso di stalking, se c'è il rischio della ripetizione più grave del reato e, di conseguenza, agisce con la rapidità e la concretezza indispensabili in questi casi. Quasi sempre e con un po' di stalking da parte dell'avvocato, però...
Gli strumenti giuridici ci sono e, se non sono attivati dai legali esperti, vengono suggeriti alle vittime dai poliziotti e dagli agenti scrupolosi: chi è vittima di violenza può richiedere l'ammonimento del
Questore al denunciato, ma anche misure protettive diversamente modulate, dal divieto di incontro e di contatti con luoghi e pertinenze della vittima, all'obbligo di dimora, fino agli arresti domiciliari. In via preventiva, però, senza aspettare la tragedia quasi sempre annunciata. Se la vittima è costretta a difendersi da sola, a modificare le proprie abitudini di vita, a vivere nell'ansia e nel terrore, il reato di stalking è già in atto e già provato: se chi deve agire non lo fa, è colpevole lui stesso; se non di stalking, quantomeno di omissione di atti d'ufficio. Intanto.
Siamo circondati dalla violenza, soprattutto all'interno delle mura domestiche: molestie, maltrattamenti, crudeltà mentale, aggressioni morali, fisiche e specificamente sessuali, minacce, terrorismo psicologico, sadismo comportamentale. La vittima spesso non la riconosce, poi se ne vergogna, nel frattempo ne diventa dipendente o ha paura del persecutore. Si fa presto ad arrivare al crimine, quando «l'amore» è malinteso, delirante, ossessivo e non accetta la frustrazione del rifiuto e della fuga.
Tanto per cominciare, smettiamola di giustificare gli assassini dicendo «a suo modo l'amava».

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