venerdì 21 settembre 2012

– Profumo, illusioni digitali

Semplificazione delle procedure per migliorare la scuola o piuttosto banalizzazione dei problemi per stupire l’opinione pubblica attraverso media compiacenti? La domanda sorge spontanea di fronte all’ennesimo annuncio del Ministro dell’Istruzione in merito alle “magnifiche sorti e progressive” che ci riserverebbero gli investimenti nel campo delle tecnologie digitali. Come si può leggere sul sito del MIUR , in una conferenza stampa convocata in occasione del primo giorno di scuola, Profumo ha espresso la sua intenzione di dare l’addio a tutta la carta (non solo a quella igienica, che ormai manca da tempo immemorabile dalle nostre scuole), digitalizzando e dematerializzando i processi e le procedure amministrative, in modo da ridurre le spese di segreteria e per la didattica. In particolare, il progetto – fondo previsto 24 milioni di euro – implicherebbe l’acquisto di un Pc per ogni classe di medie e superiori. L’uso dei computer renderebbe inutile l’impiego di materiali cartacei, con un risparmio per mancato acquisto di 26 milioni nei due ordini di scuola citati, a cui si sommerebbero altri 4 milioni di euro di risparmio della primaria, che al momento sembra però esclusa dall’elargizione. La dotazione di dispositivi appare peraltro l’unico passo definito di quanto previsto in questo specifico ambito dalla legge 135 del 7.8.2012 (l’italica revisione di spesa, o, esoticamente, spending review, che dedica alla scuola alcuni articoli). In particolare, all’art. 6 si prevede che dall’anno scolastico in corso le iscrizioni avvengano esclusivamente in modalità online, le scuole redigano la pagella degli alunni in formato elettronico, con pieno valore legale, e i docenti adottino registri e comunicazioni alle famiglie usando la rete Internet. Un gioco da ragazzi: chissà perché nessuno ci ha pensato prima. Per attuare tutto questo il Ministro ha il compito di predisporre un “piano operativo” entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge, ovvero entro la metà di ottobre. Ma immaginate il collegio docenti che ogni scuola ha celebrato all’inizio di settembre: nessuna – seppur preliminare e vaga – indicazione, né notizie su eventuali future infrastrutture. Scoraggiata l’ingenua (e sparuta) pattuglia di quanti attendevano con fiducia e trepidazione l’imminente rivoluzione digitale, vaticinata da Profumo ed enfatizzata dalle fanfare mediatiche a luglio; ha prevalso lo scetticismo di chi da anni assiste alla politica degli annunci – ora velleitari, ora elettorali, ora apertamente demagogici – a cui non si dà seguito. E infatti la stragrande maggioranza delle istituzioni scolastiche ha nel frattempo acquistato sia i registri di classe sia quelli personali degli insegnanti in formato cartaceo, mentre alle famiglie è rimasto l’onere di pagare i libretti per la gestione delle assenze e la notifica delle valutazioni. Noi stessi abbiamo diligentemente compilato gli elenchi degli allievi, annotato gli argomenti delle prime lezioni, le prime assenze, i primi ritardi, le prime giustificazioni dei genitori, il numero di protocollo delle prime “circolari”. Soprattutto abbiamo apposto le prime firme che attestano la nostra presenza sul posto di lavoro in modo prioritario rispetto a qualsiasi altro metodo di rilevazione, come sancito qualche tempo fa niente meno che dalla Corte di Cassazione . Abbiamo, insomma, fatto i conti con la complessità delle operazioni di registrazione e comunicazione implicate dal fatto che la scuola non è solo luogo della didattica, ma ente della Pubblica Amministrazione; fatto che – a quanto pare – paradossalmente lo stesso MIUR, con i suoi proclami trionfalistici, tende a sottovalutare. E non abbiamo ancora assegnato voti, ovvero valutazioni formali degli apprendimenti, che non possono essere limitate all’indicazione di un numero, ma vanno motivate mediante criteri espliciti, che devono essere definiti, dichiarati, comunicati e di volta in volta enunciati. Possiamo apparire un po’ pedanti, ma quel che ci interessa è far capire a un’opinione pubblica che immaginiamo meno ingenua di quanto la consideri il Ministero dell’Istruzione, che registri e pagelle non possono essere ridotti alla vulgata che tanto piace ai media, ovvero alla comunicazione di voti, assenze e ritardi, magari con un SMS sul cellulare dei genitori. Certo, ci sono scuole che hanno adottato dispositivi e procedure digitali in modo efficace ed efficiente, realizzando risparmi e migliorando sia le condizioni di lavoro sia le relazioni con le famiglie. Ma la realtà dell’intero Paese non è quella di alcuni (pochi) istituti di eccellenza. Il punto è che tra digitalizzazione e informatizzazione esiste un’enorme differenza concettuale ed operativa, che il Miur sembra ignorare. Nel secondo caso gli strumenti elettronici vengono impiegati per realizzare in modo più rapido prodotti cartacei, ma non garantiscono alcuna reale dematerializzazione. Relazioni, verbali, elenchi, dichiarazioni, per esempio, compilati con un word processor, vengono di volta in volta stampati e firmati. La digitalizzazione – invece – prevede la scomparsa del prodotto cartaceo: ciò che risiede su supporto elettronico diventa l’“originale”, di cui possono essere rilasciate, su richiesta, copie cartacee. Il processo di realizzazione di un documento digitalizzato deve pertanto garantirgli autenticità, integrità e non ripudiabilità, i tre vincoli amministrativi essenziali. È questo il caso della pagella online: a costituire la certificazione originale sarà la versione digitale. È assolutamente evidente che per realizzarla non è sufficiente disporre di un computer in aula. Sono necessari un software applicativo specifico o la definizione di un modello condiviso, convincente e sicuro. Il rilascio su supporto digitale di una pagella – ma lo stesso vale per registri, voti, assenze e qualsiasi forma di certificazione– va inoltre garantito da più punti di vista: quelli delle eventuali manipolazioni e intrusioni, innanzitutto. Siamo insomma di fronte a un problema complesso, che richiede risorse, conoscenze, consapevolezze, disponibilità a modificare modi di agire e atteggiamenti mentali. Che implica peraltro anche una considerazione degli aspetti pratici della questione, ai quali le dichiarazioni del ministro e l’enfasi di gran parte dei media non danno peso. Ma che un peso ce l’hanno. Con i 250 euro destinati a ciascuna delle 97mila aule (questa è la cifra), cosa verrà effettivamente acquistato? Dove sarà collocato il Pc nelle classi dagli arredi sovietici e dalla scarsa alimentazione elettrica di molte scuole? Le aule saranno cablate o si userà il wireless? Chi sarà responsabile della conservazione del dispositivo, della manutenzione e della messa in sicurezza delle infrastrutture? E così via: alla scomparsa della carta corrisponde il materializzarsi di numerosi e vari problemi concreti. Fortunatamente non sta a noi dare una risposta a tutti i quesiti che abbiamo posto. Ciò che speriamo – comunque – è che si vogliano impiegare i 32 milioni di euro eventualmente davvero risparmiati mediante l’operazione per cominciare a mettere a norma quel 65% degli edifici scolastici italiani che, per vari motivi, non lo è; o per provare a diminuire il rapporto alunni-docente ed evitare il problema delle classi-pollaio, contrarie ai principi della sicurezza, del diritto all’apprendimento, dell’inclusione. O, semplicemente, per rendere la scuola pubblica – il luogo della crescita delle nuove generazioni – più tutelata ed accogliente.
Marina Boscaino e Marco Guastavigna MICROMEGA (17 settembre 2012

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