domenica 30 settembre 2012

LA MIA LOTTA CONTRO I MULINI A VENTO

Quanti di noi spesso si sentono sfiduciati e delusi per una vita spesa lottando come “Don Chisciotte contro i mulini a vento”, ma ancora con tanto voglia di farsi sentire e portare avanti gli ideali di giustizia e libertà nei quali non abbiamo mai smesso di credere . Sono nata alla fine del conflitto mondiale, ho avuto i benefici del boom economico , infatti, pur essendo figlia di un piccolo imprenditore , ho potuto studiare e godere di una certa stabilità economica. Percorrendo la storia della nostra giovane democrazia, ho cercando di superare con difficoltà e spesso con accese lotte, gli ostacoli posti da una famiglia e da una società bigotta e conservatrice , che imponevano il proseguimento dei loro schemi culturali. Questo conflitto generazionale, culminato con le contestazioni del 68, hanno rappresentato il punto di partenza del mio impegno politico e sociale, prima da studentessa e poi da insegnante. Mi sono consumata i piedi e la voce nelle numerose manifestazioni, per i diritti degli studenti, per il divorzio, per aborto, per la riforma del diritto di famiglia, in difesa dei miei diritti di donna e del posto di lavoro, in verità battaglie vinte, anche se con fatica. Nelle piazze gli scontri con le fazioni di destra spesso degeneravano con azioni violente e abbiamo preso botte e denuncie, siamo stati considerati delle teste calde e questo ci ha creato non pochi problemi. Abbiamo resistito, ma gli anni bui del terrorismo ci hanno relegati per alcuni anni nel privato. Dopo la sconfitta del terrorismo, abbiamo ripreso il cammino, la situazione politica era mutata e la destra trova il varco per conquistare la gestione dello Stato con l’aiuto dei mezzi di comunicazione, in particolare della televisione commerciale, ma sopratutto perchè noi di sinistra non siamo stati costanti nella vigilanza e nella difesa dei valori costituzionali. Si affermano così, con la collaborazione della maggioranza della popolazione italiana, nuovi valori e stili di vita basati sull’arrivismo e l’arricchimento personale, rinnegando, e in parte cancellando, gli ideali di giustizia sociale, di solidarietà e di crescita culturale, così faticosamente conquistati. Il denaro è diventato l’unico valore , diventare ricchi e potenti è il solo obiettivo da raggiungere anche calpestando valori di umanità e giustizia sociale, se timidamente cercavi di affermare che i valori erano altri, venivi considerata una persona fuori dal tempo che va contro corrente, non facente parte del gruppo dei vincenti, ma una idealista perdente. Per chi ha creduto per tutta la vita nel socialismo e nell’equità sociale questo ha rappresentato una cocente sconfitta. Tutto ciò non deve produrre rassegnazione, questo l’ho dobbiamo alle nuove generazioni, siamo noi che dobbiamo e possiamo aiutarli, riscoprendo i valori genuini della nostra giovinezza e mettendoci a fianco dei nostri figli e nipoti in marcia per migliorare la situazione politica, economica e sociale del nostro Paese.. PIERA REPICI Roma,30/09/2012

venerdì 28 settembre 2012

Vogliamo chiarezza su l'utilizzo delle le risorse pubbliche

Da sempre, nel nostro Paese, i bilanci delle Istituzioni che ricevono e spendono denaro pubblico, non vengono pubblicizzati, cioè esposti nelle bacheche o sui siti web, in modo che i cittadini utenti, siano informati con chiarezza come ogni singolo euro viene speso, come queste risorse sono state ripartite e se hanno prodotto benefici. Questo stato delle cose, ha permesso la gestione arbitraria e opportunistica delle risorse ed ha incrementato il clientelismo e la corruzione. Gli enti pubblici spesso gestiscono le risorse,con poca competenza e onestà, nei pochi casi in cui questa gestione poco chiara viene scoperta, nessuno paga e questo incoraggia chi gestisce a continuare ad utilizzare per se e per gli amici il denaro pubblico. Bisogna, nell'interesse della collettività, lottare perche le leggi contro la corruzione siano severe, perche la nostra classe politica non ha interesse ad approvare queste leggi, in quanto la gestione poco trasparente del denaro pubblico, fa comodo a loro per primi, e i numerosi casi di corruzione emersi confermano questa tesi. In conclusione, invito ognuno di noi ad essere meno distratto, opportunista e amante del quieto vivere, vigilare sulla gestione della cosa pubblica e denunciare pubblicamente ogni anomalia evidenziata, perche l'omertà è complicità. PIERA REPICI

Vogliamo chiarezza su l'utizzo delle le risorse pubbliche

Da sempre, nel nostro Paese, i bilanci delle Istituzioni che ricevono e spendono denaro pubblico, non vengono pubblicizzati, cioè esposti nelle bacheche o sui siti web, in modo che i cittadini utenti, siano informati con chiarezza come ogni singolo euro viene speso, come queste risorse sono state ripartite e se hanno prodotto benefici. Questo stato delle cose, ha permesso la gestione arbitraria e opportunistica delle risorse ed ha incrementato il clientelismo e la corruzione. Gli enti pubblici spesso gestiscono le risorse,con poca competenza e onestà, nei pochi casi in cui questa gestione poco chiara viene scoperta, nessuno paga e questo incoraggia chi gestisce a continuare ad utilizzare per se e per gli amici il denaro pubblico. Bisogna, nell'interesse della collettività, lottare perche le leggi contro la corruzione siano severe, perche la nostra classe politica non ha interesse ad approvare queste leggi, in quanto la gestione poco trasparente del denaro pubblico, fa comodo a loro per primi, e i numerosi casi di corruzione emersi confermano questa tesi. In conclusione, invito ognuno di noi ad essere meno distratto, opportunista e amante del quieto vivere, vigilare sulla gestione della cosa pubblica e denunciare pubblicamente ogni anomalia evidenziata, perche l'omertà è complicità.

giovedì 27 settembre 2012

Non e' un Paese per giovani

Noi giovani dovremmo rappresentare la parte dinamica della società, gli innovatori e - io direi anche - i custodi del pensiero critico. Abbiamo visto in televisione la caduta del muro di Berlino, i processi di Tangentopoli e le stragi di mafia, non ci siamo formati nella prima Repubblica e non ci siamo costruiti false illusioni sulla seconda. Viviamo l'era della globalizzazione e del consumismo, del conformismo e dell'apparire, ma pochi di noi si rendono conto del fatto che dovremo rivedere al ribasso le nostre aspettative. L'operazione di rapina nei confronti delle giovani generazioni, inizia alla fine degli anni '70, con il ridimensionamento del welfare, per continuare negli anni '90 con le riforme pensionistiche, che lasciando invariato il trattamento previdenziale delle vecchie generazioni, hanno addossato sui giovani tutto il peso dell'invecchiamento della popolazione. Le responsabilità degli attuali sessantenni, abili a mantenere le posizioni di potere, sono chiare e facilmente dimostrabili. In un simile contesto, la reazione e lo scontro generazionale sarebbe naturale, invece troppo spesso ci accontentiamo di essere figli, mentre dovremmo capire che siamo cittadini. Viviamo in una società ingiusta e iniqua, che non investe sulle sue risorse, giovani e meritevoli. Centinaia di giovani ogni anno vengono, in qualche modo, cacciati via da questo paese, per andare a lavorare all'estero. I giovani italiani rispetto ai loro coetanei europei, contano meno: socialmente, economicamente, politicamente. I Giovani italiani hanno il minor peso politico dei paesi occidentali. Siamo l'unico grande paese in cui solo un 25enne su 4 è occupato, e quel 25enne impiegato è sempre precario. Perché alla flessibilità non sono state affiancate misure di protezione sociale. Siamo l'unico paese europeo, insieme alla Grecia, a non avere a livello statale il reddito minimo di cittadinanza. Ai giovani non resta che appoggiarsi fino ai capelli bianchi alle famiglie d'origine - l'unico vero ammortizzatore sociale delle giovani generazioni. Siamo giovani nel momento sbagliato e rischiamo di diventare vecchi nel modo peggiore. Autore Paola Calorenne

mercoledì 26 settembre 2012

“Senza crescita solidale non c’è futuro”

“Oggi c’è una separazione abissale tra il paese reale e chi decide per il suo futuro – ha detto Susanna Camusso, segretaria generale Cgil – e un gigantesco processo di impoverimento che vede crescere esponenzialmente la dimensione dei lavori scarsamente retribuiti e coinvolge soprattutto donne e giovani. E’ evidente che non è questa la strada per crescere: serve dare centralità al lavoro e alla sua qualità come fattore di innovazione, serve costruire modelli di socialità e welfare come fattori di crescita. La scommessa dell’Europa è proprio su questo: si vuole costruire un modello sociale che media tra le politiche economiche e la vita delle persone, oppure vogliamo continuare a impostare i paradigmi di sviluppo sulla base di politiche economiche e monetarie? Se il fondamento su cui se costruisce il paradigma di sviluppo è la famiglia o sono gli individui, o se il modello cambia in maniera fondamentale perché il lavoro - non come variabile residuale, ma come condizione di autonomia delle persone - dove trovare fondamento nell’indipendenza dei soggetti. E questa, per le donne, è una straordinaria questione” Nuovi paradigmi di sviluppo, centralità delle relazioni, qualità del lavoro, competitività solidale e infrastrutturazione sociale. Sono state queste alcune delle parole chiave che hanno ispirato le riflessioni della tavola rotonda “Produrre il cambiamento, preparare il futuro”
, che ha chiuso i lavori della giornata di analisi e riflessione promossa dalla Fondazione Nilde Iotti, oggi a Siena. “Un Paese competitivo e solidale non è una contraddizione - ha esordito nel suo intervento Alessandro Profumo, presidente Banca Monte dei Paschi di Siena - e una maggiore presenza delle donne nel mercato del lavoro è un fattore chiave di competitività. Partiamo da un dato, se il talento è diviso equamente tra uomini e donne, e se le donne sono in percentuale residua nelle aziende, stiamo sprecando del talento e quindi un’opportunità di crescita. Investire sul talento significa darsi obiettivi chiari e promuovere azioni concrete. L’Europa, in questo senso, è un terreno concreto su cui misurarsi e non va inteso come il soggetto da cui giungono imposizioni. In questo percorso è necessario riscostruire una relazione positiva e un dialogo con l’Europa, dove le differenze sono sinonimo di ricchezza”. Dell’esperienza sul campo nell’attuazione delle politiche di genere ha parlato Catiuscia Marini, presidente della Regione Umbria. “Le politiche di genere vanno tirate fuori dai settori di intervento specifici, serve una trasversalità dell’azione di governo rispetto all’insieme delle politiche pubbliche, regionali ma anche nazionali. Questo significa abbandonare i piani settoriali, inserendo in tutte le politiche più robuste, quelle che hanno o attivano risorse, una visione di genere che declini non solo il tema della parità, ma anche della consistenza delle relazioni tra uomini e donne. La crisi ha segnato in maniera profonda il solco della disuguaglianza di genere e sappiamo bene perché. Per ridurre le disuguaglianze, in Umbria per esempio, abbiamo provato a mettere in campo strumenti concreti, con risorse dedicate esclusivamente alle donne. Il disegno di legge della Regione Umbria, in questo senso, ambisce a superare le leggi manifesto, per concretizzare con azioni e progetti, una nuova civiltà delle relazioni tra donne e uomini”. E’ partita da uno spunto positivo Livia Turco, deputata del Pd e presidente della Fondazione "Nilde Iotti" che nel suo intervento ha sottolineato come l’innovazione e l’imprenditorialità siano una delle forme di resistenza nei confronti della crisi che il Paese sta sperimentando. “Un’innovazione che trova applicazione anche nella buona politica – ha detto la Turco – come quella messa in campo dalla Regione Toscana e Umbra sulle leggi della cittadinanza di genere. Bisogna avere il coraggio di investire in settori come il welfare, dove al contrario, il nostro Paese ha fatto enormi passi indietro. Le politiche sociali, al contrario, sono moltiplicatori di opportunità, per cui credo che esistano solo delle remore culturali. Le esperienze di welfare su cui ci siamo confrontati nei seminari di stamattina sono la prova tangibile che le energie sono già in campo e che basta sprigionare l’innovazione per mettere in moto il cambiamento”. A concludere l’incontro le parole di Susanna Cenni. “E’ ovvio - ha concluso la parlamentare toscana del Pd- che parlare di un cambiamento del modello di sviluppo significa mettere in campo la politica pienamente, a partire dal Partito democratico, da cui mi attendo una battaglia e una piattaforma forte sulla democrazia paritaria, sulla riforma della politica e delle istituzioni. L’obiettivo è quello di inaugurare una nuova stagione di politiche, anche nel contesto europeo, profondamente alternative a quelle che, in questi decenni, hanno riconosciuto solo a un mercato privo di regole, un primato che ha mortificato le persone, le donne e le relazioni umane”. “Non è possibile - ha proseguito Cenni - recuperare qualità della vita, lavoro e futuro, se non c’è un cambio di paradigma che trasformi la cura da costo a economia, mettendo al centro le persone nella società e nelle politiche di sviluppo. Come attestano le statistiche, infatti, i Paesi con minore gap di genere, sono quelli più competitivi economicamente. Difficilmente possiamo mettere in campo crescita e cambiamento senza la parità di genere”. Siena / “Senza crescita solidale non c’è futuro” Il convegno della Fondazione Nilde Iotti: nuovi paradigmi per una crescita solidale e un futuro possibile inserito da Redazione di NOI DONNE (26 Settembre 2012)

martedì 25 settembre 2012

L'Agorà delle donne: Cosa fare per avere LEGALITA' e TRASPARENZA

L'Agorà delle donne: Cosa fare per avere LEGALITA' e TRASPARENZA: Noi cittadini onesti che amiamo la giustizia e la legalità dobbiamo chiedere maggiori controlli sulla gestione della cosa pubblica, ma il ...

Cosa fare per avere LEGALITA' e TRASPARENZA

Noi cittadini onesti che amiamo la giustizia e la legalità dobbiamo chiedere maggiori controlli sulla gestione della cosa pubblica, ma il miglior controllo deve essere esercitato proprio da ognuno di noi. Dobbiamo abbandonare l'atteggiamento di chi vede e fa finta di non vedere, di chi essendo amico di chi amministra o beneficiario dei favori, difende una gestione poco trasparente per il quieto vivere e per continuare ad avere quei piccoli privilegi che comprano il silenzio. La nostra società è così corrotta perchè molti di noi lo permettono. Bisogna abbandonare la paura di essere emarginati, non deve importarvi se qualcuno vi toglie il saluto perchè avete chiesto chiarimenti per i quali la risposta è scomoda, denunciate pubblicamente ciò che ritenete poco chiaro ed esigete la pubblicazione di tutto il resoconto delle spese. Il denaro pubblico è frutto dei sacrifici di ognuno di noi e deve essere speso con accuratezza senza assecondare privilegi. Se ognuo di noi esercita questo tipo di controllo in tutte le strutture
in cui opera e nelle istituzioni che gestiscono i beni comuni, chi amministra sarà costretto ad agire con LEGALITA' e TRASPARENZA. Piera Repici Roma,25/09/2012

lunedì 24 settembre 2012

Serve un modello educativo che promuova il protagonismo dei giovani.

Altro che rivoluzione Profumo! -La rivoluzione del Ministro Profumo: lavagne multimediali in tutte le aule, tablets per gli insegnanti del Sud, abolizione del registro personale, voti e comunicazioni alle famiglie on line. È sconfortante dover ribattere a proposte così incongrue per efficacia e per visione strategica: le lavagne multimediali non sono affatto arrivate e quando arriveranno faranno i conti con l’assenza di copertura wireless nelle aule che le renderanno inutilizzabili, dei tablets non c’è traccia, (peraltro questa dotazione per i docenti del Sud mi fa pensare ai pacchi dono post - bellici per i bambini poveri), e infine quella che ritengo la cosa più grave, l’idea che il rapporto con le famiglie si possa ridurre ad una comunicazione burocratica di un numero, che sia il voto o che siano le assenze. Se provassimo a mettere al centro i soggetti del processo educativo e formativo cioè i ragazzi e le ragazze penso che la prospettiva e le soluzioni apparirebbero con più chiarezza. Proverò a elencare, magari schematicamente, i nodi che secondo me sono ineludibili e lo faccio da insegnante di scuola media superiore e da dirigente di una associazione che si è data tra i suoi compiti quello di favorire la crescita culturale, la percezione della cittadinanza, il rispetto della legalità presso le nuove generazioni. Il mestiere di insegnante è particolare perché ha in sé un elemento che è esclusivo di questo lavoro: il confronto con la giovinezza che è uno dei temi cruciali del processo educativo. Questo è ancora più evidente nelle scuole medie e superiori perché gli studenti sono già in possesso di strumenti formidabili per maneggiare le nuove tecnologie, i nuovi stili musicali, le forme di street-art e quant’altro e gli insegnanti spesso sono a malapena in grado di accendere un PC. La questione, per riassumerla, si pone grosso modo in questi termini: siamo attrezzati ad affrontare la modernità dei linguaggi e della sintassi giovanile senza abdicare ai contenuti di un sapere universale? Cioè possiamo tenere insieme il rap e Dante? Il fenomeno della dispersione scolastica sta assumendo dimensioni drammatiche ed evidenzia tra l’altro una divisione tra Nord e Sud assolutamente da emergenza. I dati più aggiornati sono del 2010 e parlano di un dato nazionale del 20% con punte in Sardegna e Sicilia del 35/39%. In dati assoluti sono numeri che sgomentano, si tratta di circa 195.00 ragazzi che dopo vari fallimenti abbandonano definitivamente la scuola e qualunque forma di percorso formativo. -
Le due questioni, cioè la lontananza degli adulti dai mondi giovanili e l’abbandono scolastico, non sono scollegate, a questo si deve aggiungere la difficoltà nel rapporto con le famiglie, che sono cambiate per natura, organizzazione e cultura e la frustrazione di fondo che attraversa tutta la società, l’idea cioè che l’istruzione non serve a nulla, le prospettive sono inesistenti e ognuno si deve arrangiare con quello che ha, il corpo le ragazze (non nascondiamocelo, i fenomeni di micro-prostituzione sono in crescita esponenziale) e i ragazzi con la forza del bullo. Si può invertire la rotta? Il gruppo di lavoro su Infanzia e adolescenza di cui faccio parte ha cominciato a fare quello che secondo me è mancato in questi anni: l’elaborazione di un modello educativo che promuova il rispetto reciproco, la nonviolenza, il protagonismo positivo dei ragazzi, la loro partecipazione ai processi democratici e decisionali nella scuola. È poco? Io invece penso che sia tutto qui. A condizione di non avere fretta. info: sassari@arci.it

venerdì 21 settembre 2012

La decrescita è in atto. Si chiama povertà - micromega-online - micromega

La decrescita è in atto. Si chiama povertà - micromega-online - micromega

– Profumo, illusioni digitali

Semplificazione delle procedure per migliorare la scuola o piuttosto banalizzazione dei problemi per stupire l’opinione pubblica attraverso media compiacenti? La domanda sorge spontanea di fronte all’ennesimo annuncio del Ministro dell’Istruzione in merito alle “magnifiche sorti e progressive” che ci riserverebbero gli investimenti nel campo delle tecnologie digitali. Come si può leggere sul sito del MIUR , in una conferenza stampa convocata in occasione del primo giorno di scuola, Profumo ha espresso la sua intenzione di dare l’addio a tutta la carta (non solo a quella igienica, che ormai manca da tempo immemorabile dalle nostre scuole), digitalizzando e dematerializzando i processi e le procedure amministrative, in modo da ridurre le spese di segreteria e per la didattica. In particolare, il progetto – fondo previsto 24 milioni di euro – implicherebbe l’acquisto di un Pc per ogni classe di medie e superiori. L’uso dei computer renderebbe inutile l’impiego di materiali cartacei, con un risparmio per mancato acquisto di 26 milioni nei due ordini di scuola citati, a cui si sommerebbero altri 4 milioni di euro di risparmio della primaria, che al momento sembra però esclusa dall’elargizione. La dotazione di dispositivi appare peraltro l’unico passo definito di quanto previsto in questo specifico ambito dalla legge 135 del 7.8.2012 (l’italica revisione di spesa, o, esoticamente, spending review, che dedica alla scuola alcuni articoli). In particolare, all’art. 6 si prevede che dall’anno scolastico in corso le iscrizioni avvengano esclusivamente in modalità online, le scuole redigano la pagella degli alunni in formato elettronico, con pieno valore legale, e i docenti adottino registri e comunicazioni alle famiglie usando la rete Internet. Un gioco da ragazzi: chissà perché nessuno ci ha pensato prima. Per attuare tutto questo il Ministro ha il compito di predisporre un “piano operativo” entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge, ovvero entro la metà di ottobre. Ma immaginate il collegio docenti che ogni scuola ha celebrato all’inizio di settembre: nessuna – seppur preliminare e vaga – indicazione, né notizie su eventuali future infrastrutture. Scoraggiata l’ingenua (e sparuta) pattuglia di quanti attendevano con fiducia e trepidazione l’imminente rivoluzione digitale, vaticinata da Profumo ed enfatizzata dalle fanfare mediatiche a luglio; ha prevalso lo scetticismo di chi da anni assiste alla politica degli annunci – ora velleitari, ora elettorali, ora apertamente demagogici – a cui non si dà seguito. E infatti la stragrande maggioranza delle istituzioni scolastiche ha nel frattempo acquistato sia i registri di classe sia quelli personali degli insegnanti in formato cartaceo, mentre alle famiglie è rimasto l’onere di pagare i libretti per la gestione delle assenze e la notifica delle valutazioni. Noi stessi abbiamo diligentemente compilato gli elenchi degli allievi, annotato gli argomenti delle prime lezioni, le prime assenze, i primi ritardi, le prime giustificazioni dei genitori, il numero di protocollo delle prime “circolari”. Soprattutto abbiamo apposto le prime firme che attestano la nostra presenza sul posto di lavoro in modo prioritario rispetto a qualsiasi altro metodo di rilevazione, come sancito qualche tempo fa niente meno che dalla Corte di Cassazione . Abbiamo, insomma, fatto i conti con la complessità delle operazioni di registrazione e comunicazione implicate dal fatto che la scuola non è solo luogo della didattica, ma ente della Pubblica Amministrazione; fatto che – a quanto pare – paradossalmente lo stesso MIUR, con i suoi proclami trionfalistici, tende a sottovalutare. E non abbiamo ancora assegnato voti, ovvero valutazioni formali degli apprendimenti, che non possono essere limitate all’indicazione di un numero, ma vanno motivate mediante criteri espliciti, che devono essere definiti, dichiarati, comunicati e di volta in volta enunciati. Possiamo apparire un po’ pedanti, ma quel che ci interessa è far capire a un’opinione pubblica che immaginiamo meno ingenua di quanto la consideri il Ministero dell’Istruzione, che registri e pagelle non possono essere ridotti alla vulgata che tanto piace ai media, ovvero alla comunicazione di voti, assenze e ritardi, magari con un SMS sul cellulare dei genitori. Certo, ci sono scuole che hanno adottato dispositivi e procedure digitali in modo efficace ed efficiente, realizzando risparmi e migliorando sia le condizioni di lavoro sia le relazioni con le famiglie. Ma la realtà dell’intero Paese non è quella di alcuni (pochi) istituti di eccellenza. Il punto è che tra digitalizzazione e informatizzazione esiste un’enorme differenza concettuale ed operativa, che il Miur sembra ignorare. Nel secondo caso gli strumenti elettronici vengono impiegati per realizzare in modo più rapido prodotti cartacei, ma non garantiscono alcuna reale dematerializzazione. Relazioni, verbali, elenchi, dichiarazioni, per esempio, compilati con un word processor, vengono di volta in volta stampati e firmati. La digitalizzazione – invece – prevede la scomparsa del prodotto cartaceo: ciò che risiede su supporto elettronico diventa l’“originale”, di cui possono essere rilasciate, su richiesta, copie cartacee. Il processo di realizzazione di un documento digitalizzato deve pertanto garantirgli autenticità, integrità e non ripudiabilità, i tre vincoli amministrativi essenziali. È questo il caso della pagella online: a costituire la certificazione originale sarà la versione digitale. È assolutamente evidente che per realizzarla non è sufficiente disporre di un computer in aula. Sono necessari un software applicativo specifico o la definizione di un modello condiviso, convincente e sicuro. Il rilascio su supporto digitale di una pagella – ma lo stesso vale per registri, voti, assenze e qualsiasi forma di certificazione– va inoltre garantito da più punti di vista: quelli delle eventuali manipolazioni e intrusioni, innanzitutto. Siamo insomma di fronte a un problema complesso, che richiede risorse, conoscenze, consapevolezze, disponibilità a modificare modi di agire e atteggiamenti mentali. Che implica peraltro anche una considerazione degli aspetti pratici della questione, ai quali le dichiarazioni del ministro e l’enfasi di gran parte dei media non danno peso. Ma che un peso ce l’hanno. Con i 250 euro destinati a ciascuna delle 97mila aule (questa è la cifra), cosa verrà effettivamente acquistato? Dove sarà collocato il Pc nelle classi dagli arredi sovietici e dalla scarsa alimentazione elettrica di molte scuole? Le aule saranno cablate o si userà il wireless? Chi sarà responsabile della conservazione del dispositivo, della manutenzione e della messa in sicurezza delle infrastrutture? E così via: alla scomparsa della carta corrisponde il materializzarsi di numerosi e vari problemi concreti. Fortunatamente non sta a noi dare una risposta a tutti i quesiti che abbiamo posto. Ciò che speriamo – comunque – è che si vogliano impiegare i 32 milioni di euro eventualmente davvero risparmiati mediante l’operazione per cominciare a mettere a norma quel 65% degli edifici scolastici italiani che, per vari motivi, non lo è; o per provare a diminuire il rapporto alunni-docente ed evitare il problema delle classi-pollaio, contrarie ai principi della sicurezza, del diritto all’apprendimento, dell’inclusione. O, semplicemente, per rendere la scuola pubblica – il luogo della crescita delle nuove generazioni – più tutelata ed accogliente.
Marina Boscaino e Marco Guastavigna MICROMEGA (17 settembre 2012

mercoledì 19 settembre 2012

L'Agorà delle donne: LA CASTA NELLA SCUOLA

L'Agorà delle donne: LA CASTA NELLA SCUOLA: Negli ultimi anni abbiamo spesso sentito parlare di CASTA in riferimento alla classe politica, considerazioni critiche che condivido pien...

LA CASTA NELLA SCUOLA

Negli ultimi anni abbiamo spesso sentito parlare di CASTA in riferimento alla classe politica, considerazioni critiche che condivido pienamente, ma nessuno ha messo in evidenza che anche nella scuola, dove svolgo il mio lavoro da tanti anni in qualità di docente, in scuole e regioni diverse, esiste un gruppo di potere privilegiato che gestisce tutte le attività. Infatti, un ristretto numero di docenti appartenenti ad un gruppo vicino alla dirigenza si trova ad occuparsi contemporaneamente di parecchie funzioni: commissioni, funzioni strumentali, collaborazione con la dirigenza, progetti,etc. in sintesi tutto ciò che fa parte di una torta economica che viene suddivisa sempre e comunque tra gli stessi insegnanti senza che si operi ricambio, non lasciando spazio all'ingresso degli altri che non essendo servili ed non appartenenti al loro ristretto gruppo, ne vengono esclusi. Di conseguenza si crea nelle scuole un gruppo di potere che poco democraticamente e senza permettere l'alternanza e la rotazione degli incarichi,di fatto gestisce con poca trasparenza le risorse umane ed economiche, non lasciando spazio ad altri docenti che potrebbero essere una valida risorsa per la scuola. Quando qualcuno timitamene chiede spazio la risposta è l'emarginazione. Ho espresso questa mia considerazione perchè penso che la scuola dovebbe essere un luogo in cui la partecipazione democratica e le competenze di tutti gli operatori dovrebbero essere valorizzate e libere di esprimersi, perchè ciò è essenziale in un organo responsabile della formazione dei giovani e del futuro del nostro Paese. Dunque con molta delusione ed amarezza dopo aver dedicato alla scuola la maggior parte della mia vita, con sincero impegno e senso del dovere e della giustizia, mi trovo a dedurre che la scuola non è assolutamente un luogo in cui trionfa il merito e la democrazia. Piera Repici Roma,19/09/2012

giovedì 13 settembre 2012

ECCO LA DONNA CHE SFIDA BERSANI E RENZI

La corsa di Laura Puppato, terza candidata alle primarie: "Un'anima bella? Eccomi". E racconta: "Non posso vedere il mio partito dilaniarsi in una battaglia fratricida per le primarie, d iventa una carneficina così. Quante energie stiamo perdendo?". Eccolo, l'altro candidato alle primarie del Pd. Eccola, anzi. Laura Puppato è una bellissima donna di 55 anni, giovane alla politica. È stata eletta sindaco la prima volta 10 anni fa. Ha sconfitto la Lega in Veneto, due volte. Ha amministrato un comune strappandolo al centrodestra e rendendolo tra i più virtuosi d'Italia, d'Europa. Il suo primo partito è stato il Pd. Ha preso la tessera quando Grillo si è fatto insistente: la voleva con sé come testimonial ai comizi "ma io avevo da lavorare, e poi non mi è mai piaciuto quel tono, quel disfattismo apocalittico. Qui in questa terra impariamo da piccoli che è più difficile e importante costruire che distruggere". Pd, dunque. Fuori dalle correnti e dalle appartenenze. Sessantamila preferenze a sorpresa alle europee del 2009, non ci credeva nessuno. Le hanno sempre preferito altri candidati: per la segreteria, per la presidenza della Regione. Questa Puppato, mah. Poi, alle regionali, ha fatto il pieno un'altra volta: quasi la metà dei voti sono andati a lei. Talmente tanti che non poteva non diventare capogruppo Pd in Regione. Sorride. Sorride sempre e dentro il sorriso dice cose di granito. Che bisogna avere il coraggio di fare delle scelte, i partiti esistono per questo: darsi un obiettivo, provare a raggiungerlo, se non ci si riesce ritirarsi. Che bisogna pensare a "riparare il mondo", come diceva il suo amico Alex Langer, e non a farci soldi per sé sfruttandolo ora e pazienza per gli altri. Che non è finita la politica, la vecchia politica: è finito il tempo della cattiva politica. Che non siamo in crisi economica, siamo in crisi di un modello economico dal quale nessuno sembra aver voglia di uscire, perché conviene restarci. Poi fa esempi concreti e luminosi: una scuola, un sistema di gestione dei rifiuti, un modo per ridurre il consumo di energia che genera lavoro e felicità. Poi dice, davanti a una parmigiana di melanzane - "chè anche questa storia che la magrezza è bellezza è una bufala" - che "non posso vedere il mio partito dilaniarsi in una battaglia fratricida per le primarie, diventa una carneficina così, quante energie stiamo perdendo? Abbiamo tutti la stessa tessera, no? Allora possiamo provare a fare una proposta che si rivolga agli elettori e dica: questi siamo noi. Decidete. Mettiamoci in gioco per il bene comune, per quanto possiamo e sappiamo. Io lo faccio". Lei lo fa. Laura Puppato si candida. "Ma non contro Bersani o contro Renzi. Per un'idea di futuro possibile. Per i nostri figli. Io ne ho una di trent'anni, sto per diventare nonna. Questa discussione sull'età è davvero curiosa. Quando è che abbiamo cominciato a credere che sia l'anagrafe a decidere se hai buone idee e buoni propositi? A me sembra un trucco per distogliere l'attenzione dalla vera posta in palio". Qual è la vera posta in palio? "Un'altra idea di mondo, che altro? Questo è alla fine. Non c'è salute, non c'è lavoro, non ci sono diritti. Impera la corruzione, la convenienza privata, l'interesse. Un partito deve indicare un'altra rotta. Dire qual è il suo obiettivo, nominarlo anche a costo di scontentare qualcuno. Dare contentini a tutti è facile. Bisogna avere coraggio e andare altrove anche quando tutti dicono: impossibile". Riparare il mondo, diceva. Ha conosciuto Langer? "Eravamo molto amici. Nel movimento ambientalista insieme. Io vengo da lì e continuo a pensare che l'anima verde sarà la salvezza del paese. Non c'è dubbio che sia così, se poi ha tempo le dico perché. Alex ci ha dato una mano quando andavamo in Jugoslavia a portare camion di viveri, durante la guerra. Abbiamo fatto non so più quanti viaggi al fronte. Mio figlio Francesco, che oggi ha 19 anni, è nato in viaggio. Lo ha battezzato un prete croato. Sono cattolica, si". Poi è arrivata la politica. "Mi sono candidata a Montebelluna, ho vinto. Abbiamo iniziato a parlare di salute, cultura, di raccolta differenziata dei rifiuti contro le mafie dei megaimpianti al veleno. Abbiamo mostrato che basta cambiare mentalità per sconfiggere certi interessi. Non è stato mica facile. Risparmio energetico, riciclaggio. Ci sono voluti anni. Abbiamo dato lavoro. Le pratiche virtuose creano lavoro. Se non si mettono in atto è perché ci sono interessi economici contrari. Sa quanti soldi sono a disposizione oggi per cambiare modo di vita?". No, quanti? "L'Europa mette 14 miliardi di euro per progetti per le smart cities, 180 per l'incremento dell'efficienza energetica. Il futuro è lì, basta tendere la mano. Parchi, mobilità sostenibile, città digitali. In media nel mondo un edificio ha un bisogno energetico di 160 kilowatt per ora. Noi abbiamo fatto un asilo che ne consuma 20, e senza pannelli solari. Solo costruendo con raziocinio. L'energia che costa di meno è quella che non consumi. Ma non parlo di stare a luce spenta, sa? Parlo di sprechi. Certo che l'Enel questo ragionamento non lo vuole sentire, ma il mondo va lì. Deve andare lì, lo dobbiamo a chi verrà dopo. Centinaia di migliaia di persone trovano lavoro nella costruzione di un mondo pulito. Certo servono anche altre riforme: la giustizia, l'amministrazione". Cosette... "Noi agli imprenditori dobbiamo dire. La pubblica amministrazione ti deve dare una risposta in 30 giorni. La giustizia deve emettere un giudizio in 180. Noi, partito politico, vogliamo questo: questo è il nostro obiettivo. Se non ci riusciamo avanti un altro". Le diranno che è un'anima bella. "Me l'hanno già detto, in effetti. Si vede che loro si sentono brutte, io preferisco stare nel primo gruppo. Li conosco i cinici. Un giorno D'Alema mi ha detto: io non mi sento più un politico, mi considero un intellettuale. Benissimo, c'è posto per tutti. Gli intellettuali sono indispensabili". Fra Bersani e Renzi chi avrebbe votato? "No, guardi. Servono l'energia di Renzi, la competenza di Bersani. Ciascuno faccia quello che sa fare e dica quali sono i suoi obiettivi. Mettiamo insieme le forze, non una contro l'altra.. La gente non è interessata alle battaglie di potere. Viviamo un'epoca drammatica, i giovani non hanno lavoro, i loro padri che lo perdono si uccidono. Quale dev'essere lo scopo di un grande partito di sinistra se non indicare un orizzonte di sviluppo possibile? Allora io dico: zero metri quadri. Facciamo una politica urbanistica senza un metro quadro di costruzione in più. Ristrutturiamo, restauriamo. Abbiamo il paese più bello del mondo, proteggiamolo. Creeremo lavoro, cultura, bellezza, felicità. So di cosa parlo, l'ho fatto. Quando Grillo è venuto a premiarmi come primo sindaco a cinque stelle l'ho ascoltato. Le sue denunce sono giuste, quasi tutte. Quello che è sbagliato è la rabbia, il risentimento, l'ansia di abbattere tutto, il disprezzo della politica. La politica è fatta di persone: bisogna affidare il compito nelle mani giuste, avere fiducia in chi la merita, avere coraggio. I partiti, anche il nostro, soffrono di un eccesso di servilismo: i giovani sono scelti dai vecchi non per i loro meriti ma per la fedeltà. Rompiamo questo meccanismo. Andiamo avanti, invece, lontanissimo: rinnoviamo, sì, dando fiducia al merito e al coraggio". Con questa legge elettorale... "Appunto. No ai pateracchi. Facciamo le primarie, per far scegliere i candidati ai cittadini. Se si va a votare con la vecchia legge lasciamo l'80 per cento delle liste agli elettori e il 20 per cento, al massimo, per figure tecniche, storiche...". E le alleanze? "Quello delle alleanze non può essere il tema della campagna elettorale. Noi dobbiamo essere noi. Dobbiamo crescere, essere credibili, guadagnare la fiducia degli elettori. Questo è un grande partito. Metta da parte i potentati. Abbia il coraggio di rischiare. Dica quello che vuole, e come lo vuole. Sul lavoro, sui diritti civili, sulla salute e sulla scuola, sullo sviluppo. Gli altri verranno da noi, dopo. Se non ci votano è perché non scegliamo. Diciamo parole chiare. Poi sarà su quello, su quel che diciamo che si decideranno le alleanze. Sono stanca, davvero stanca, di vedere invece che il Pd che è anche casa mia è diventato l'autobus di cui si serve chi vuole fare la sua personale fortuna per scendere alla prima fermata. Tutti vogliono vendere la loro merce. Io vorrei partecipare a un mercato comune, invece. Vorrei dire: ho questo da offrire, e voi? Vorrei sconfiggere le destre, vorrei che tutti ci ricordassimo i pericoli che abbiamo attraversato e che corriamo ancora, vorrei proporre un'idea che sia utile ai nostri figli e miei nipoti, non a me. Se serve un'anima bella - ride ordinando il dolce - ho deciso: io ci sono". di Concita De Gregorio, da Repubblica, 13 settembre 2012 (13 settembre 2012)

lunedì 10 settembre 2012

Siamo sminuite fin dall'infanzia...

Tutte noi donne comprese io e te, vengono sminuite fin dall' infanzia. Siamo state programmate per compiacere, per non sbagliare le nostre condotte, per diffidare del nostro sesto senso. Eppure, se ci fate caso, basta un libro, un incontro significativo, un apprezzamento sentito per permetterci di sfoderare un'energia invidiabile che neppure sapevamo di avere. Ciò che di strategico e centrale per le nostre vite può esserci per evolvere noi stesse e imparare a crescere figli autonomi e intelligenti perché creativi, è proprio l' autostima e l'apprezzamento di sé. Non a scapito di chi ci sta intorno ma insieme a... Tutti rispettano chi ha autostima e rivendica un suo preciso posto nel mondo. Per anni ho notato come le giovani generazioni, facendo del proprio corpo un feticcio, svalorizzano la propria interiorità unica e irripetibile a scapito della propria saggezza interiore. Vorrei suggerire alle donne di iniziare una campagna dal basso, per riscrivere le leggi in modo che siano equamente a favore del genere maschile e di quello femminile. Unite - se non ora quando? - abbiamo uno straordinario potere collettivo. Sostenendo un'idea o una posizione che ci promuovono, ci riconosciamo nel profondo di noi stesse. Cominciamo a fidarci di più della vita e di ciò che ci accade puntando sulle nostre genuine intuizioni, superando ogni senso di colpa e ogni tentativo manipolatorio che ci viene da persone immature o dipendenti. Tutto si trasforma. Vi accorgerete cosi facendo che ognuna di noi ha già dentro di sé tutto ciò che le serve per crescere secondo le sue personali convinzioni, coccolando la sua sensibilità e aggiungendo valore al mondo delle relazioni. Talora meglio essere sole avendo ben chiaro che l'amore che viviamo parte da noi. Spesso cerchiamo l'uomo giusto che risolva tutti i nostri problemi, nei panni del padre, del marito o del compagno. Ora è il momento di essere la "donna giusta" per noi stesse. Le idee Freschi appunti di vitalità Siamo sminuite fin dall'infanzia... Catia Iori (06 Settembre 2012)

sabato 1 settembre 2012

Veline, carne fresca per pubblico bavoso

Tutti i giorni va in onda il teatrino di Ezio Greggio che sfotte ragazze pronte a tutto pur di conquistare una fetta di etere. Quando assisteremo a uno spettacolo simile per scegliere due strafighi da piazzare seminudi su un bancone, a subire le grevità di due arrapatissime e attempate conduttrici? Estate televisiva, siamo quasi agli sgoccioli. Ma il veleno è nella coda, sappiatelo. Perché mentre tutti i palinsesti ripartono, seppur pigramente, lo sprint finale di Veline ci accompagnerà fino alla scelta delle due nuove ragazzette che sgambetteranno sul bancone del tg satirico di Canale 5. Sul tema del velinismo si è scritto tanto, forse troppo. A cominciare dall’articolo di Sofia Ventura sul webmagazine di Farefuturo sul velinismo in politica e non solo, che nel 2009 ha creato più di un grattacapo al governo di allora, a Veronica Lario e a tutto il circo di nani e ballerine che circonda(va?) il Cavaliere. Dibattito ricco, durato tanto tempo, ma che risultati ne ha portati pochi. La prova è lì, puntuale ogni sera, sulle frequenze dell’ammiraglia del Biscione. Il “ruffiano” di turno, che offre al pubblico bavoso carne fresca da mandare al macello, è Ezio Greggio, perfetto esponente di quella corrente di pensiero ultraleggera che ha fatto la fortuna, e non solo televisiva, dell’uomo di Arcore. Osservare ogni sera, per giunta all’ora di cena, un uomo di sessant’anni sfottere platealmente ragazze poco più che maggiorenni, manda in bestia. Non in nome del femminismo trito e ritrito dei tempi che furono, per carità. Ma quelle scosciatissime pulzelle sono evidentemente disposte a tutto pur di diventare veline, anche a coprirsi di ridicolo. Per una volta, dunque, non prendiamocela con gli uomini che detengono il potere catodico, ma con le donne che si piegano a un sistema indegno. Quando assisteremo a uno show di oltre cento puntate per scegliere due strafighi ventenni da piazzare seminudi su un bancone, a subire le battute grevi di due arrapatissime e attempate conduttrici? Passano gli anni, torniamo sempre sullo stesso argomento, ci indigniamo, andiamo in piazza a protestare e poi non cambia niente. Ci meritiamo il Gabibbo? di Domenico Naso | 28 agosto 2012---Il Fatto Quotidiano

Veline, carne fresca per pubblico bavoso

Tutti i giorni va in onda il teatrino di Ezio Greggio che sfotte ragazze pronte a tutto pur di conquistare una fetta di etere. Quando assisteremo a uno spettacolo simile per scegliere due strafighi da piazzare seminudi su un bancone, a subire le grevità di due arrapatissime e attempate conduttrici? Estate televisiva, siamo quasi agli sgoccioli. Ma il veleno è nella coda, sappiatelo. Perché mentre tutti i palinsesti ripartono, seppur pigramente, lo sprint finale di Veline ci accompagnerà fino alla scelta delle due nuove ragazzette che sgambetteranno sul bancone del tg satirico di Canale 5. Sul tema del velinismo si è scritto tanto, forse troppo. A cominciare dall’articolo di Sofia Ventura sul webmagazine di Farefuturo sul velinismo in politica e non solo, che nel 2009 ha creato più di un grattacapo al governo di allora, a Veronica Lario e a tutto il circo di nani e ballerine che circonda(va?) il Cavaliere. Dibattito ricco, durato tanto tempo, ma che risultati ne ha portati pochi. La prova è lì, puntuale ogni sera, sulle frequenze dell’ammiraglia del Biscione. Il “ruffiano” di turno, che offre al pubblico bavoso carne fresca da mandare al macello, è Ezio Greggio, perfetto esponente di quella corrente di pensiero ultraleggera che ha fatto la fortuna, e non solo televisiva, dell’uomo di Arcore. Osservare ogni sera, per giunta all’ora di cena, un uomo di sessant’anni sfottere platealmente ragazze poco più che maggiorenni, manda in bestia. Non in nome del femminismo trito e ritrito dei tempi che furono, per carità. Ma quelle scosciatissime pulzelle sono evidentemente disposte a tutto pur di diventare veline, anche a coprirsi di ridicolo. Per una volta, dunque, non prendiamocela con gli uomini che detengono il potere catodico, ma con le donne che si piegano a un sistema indegno. Quando assisteremo a uno show di oltre cento puntate per scegliere due strafighi ventenni da piazzare seminudi su un bancone, a subire le battute grevi di due arrapatissime e attempate conduttrici? Passano gli anni, torniamo sempre sullo stesso argomento, ci indigniamo, andiamo in piazza a protestare e poi non cambia niente. Ci meritiamo il Gabibbo? di Domenico Naso | 28 agosto 2012---Il Fatto Quotidiano