lunedì 23 luglio 2012

Portella della Ginestra / Strage di poveri, segreto di Stato

“Sembrava che i fatti si squagliassero, davanti alle Corti dei tribunali! Diventavano fumo, mentre le domande erano sempre là. E sempre le stesse. Chi ha davvero ammazzato Pisciotta? e come e perché e per conto di chi? Chi ha davvero ucciso Giuliano? e come e perché e per conto di chi? Chi ha davvero sparato alla Ginestra? e come e perché e per conto di chi?”. Muove da questi interrogativi l’ultimo avvincente romanzo che Maria Rosa Cutrufelli ha scritto ispirandosi alla strage di Portella della Ginestra. “I bambini della Ginestra” (Frassinelli, pagg 273, euro 18,50) è un atto d’amore verso le vittime della violenza stragista, un gesto di riconoscimento nei confronti di vittime troppo spesso dimenticate. O silenziate dalla stampa e dalla stessa narrazione storica. “Le vittime delle stragi italiane sono state dimenticate, su di loro l’attenzione dei giornali e degli scrittori non si è quasi mai soffermata, invece a me interessava raccogliere la voce di quelli che hanno subito il trauma e che se lo porteranno dietro per tutta la vita”. Il libro affida ai bambini, simbolo di vulnerabilità, il compito di ripercorrere la storia della strage, a partire dalla sparatoria nella piana e poi il calvario delle udienze e dei processi a Viterbo e a Roma. “C’erano tanti bambini a Portella della Ginestra il primo maggio del 1947, perché era una festa, e tre rimasero uccisi. I due protagonisti, Enza e Lillo, hanno visto la strage compiersi e sono vittime, anche loro. Volevo capire il modo con cui hanno reagito, come hanno superato la loro condizione di fragilità. Mi interessava vedere come da tanta fragilità possa nascere la forza necessaria per chiedere giustizia e per farlo in maniera continuata considerando che i processi durano decenni”. Le vittime di Portella della Ginestra sono le prime di una lunga serie di stragi oscure avvenute nel nostro paese. “Mi ha colpito il fatto che, mentre negli anni si sono formate le associazioni dei superstiti o dei famigliari delle stragi, per Portella della Ginestra, che è stata la prima, l’associazione si sia costituita dopo decenni, negli anni novanta”. Quali le ragioni? “Essere vittima di una strage non era considerato un trauma, infatti il lutto, quelli di Portella, se lo sono elaborati da soli e non sono mai stati assistiti dallo Stato, non hanno avuto facilitazioni, non c’è stato riconoscimento né delle ferite psicologiche né di quelle fisiche. E ci sono persone gravemente menomate o che convivono con schegge nel loro corpo”. Perché ti sei interessata proprio a Portella della Ginestra? “In primo luogo perché la strage è avvenuta in Sicilia, che è terra dove sono nata e dove ho vissuto fino a 9 anni... Ricordo ancora la Sicilia feroce di quel tempo, quando i contadini erano trattati come bestie... Ma quella Sicilia si era ribellata, era nato un grande movimento contadino vincitore sia a livello sindacale perché conquistò i decreti Gullo sia a livello politico perché le prime elezioni per la Regione le vinse il 'blocco del popolo', una specie di federazione delle sinistre. Una Sicilia fuori dagli stereotipi, ecco cosa m'interessava raccontare... Teniamo però presente che quel primo maggio del 1947 non ha cambiato solo la Sicilia, bensì anche l’Italia. Come dicono gli storici, ‘dopo Portella niente fu più come prima’. Era l’inizio della guerra fredda che fu sancita col sangue delle vittime di Portella della Ginestra”. Dunque un’Italia alla quale qualcuno ha voluto impedire di maturare una coscienza civica. Le tante stragi costellano il dopoguerra fino ai nostri giorni così come la crescita dei bambini del romanzo è accompagnata da processi che non hanno mai fine. “È difficile elaborare un lutto se la storia non si chiude mai e se non si chiude con giustizia. Come si fa ad uscire dal trauma se ti ripropongono l’ingiustizia? è un continuo supplizio cui sono condannate delle persone innocenti che sono state vittime di una violenza organizzata e programmata da altri. Lavorando a questo libro, mi sono chiesta come sono cresciuti i bambini testimoni di quella tragedia, con quale fiducia nello Stato e nelle istituzioni. Come costruisci una fiducia se viene smentita ogni momento… un dato, questo, che vale per Portella e anche per le altre stragi. I giudici dell’istruttoria decisero a priori che i mandanti fossero tenuti fuori dal processo. A Viterbo e a Roma si processarono solo alcuni degli esecutori. Se la giustizia è monca a priori quello che accade dopo è, al meglio, una giustizia a metà. Da parte dei bambini c’è questo crescere e prendere coscienza di quello che puoi fare cercando giustizia e verità in molti modi. La Storia, come si sa, la scrivono i vincitori, ma i vinti possono trovare il modo di dire la loro verità. Non a caso uno dei protagonisti, dopo aver sperimentato l’impossibilità di avere verità attraverso la via giudiziaria, diventa uno storico, anche se poi non riesce a fare oggetto di studio la sua storia personale perché si rende conto di non poterla vedere con la necessaria obiettività e in una luce per così dire scientifica. Non riesce perché c’è dentro troppo dolore”. Alla fine, però, c’è un modo per uscirne e per ‘guarire’. “Quello che davvero salva, lo dicono tutti i sopravvissuti e gli studiosi, è la relazione con gli altri, il parlare con gli altri, il ristabilire legami sociali e affettivi. Questi due bambini non riescono ad amarsi finché non stabiliscono una relazione di parola”. E quindi si scrivono, perché la parola scritta è “un diaframma”, una protezione ulteriore. Il libro evidenzia la potenza e l’ineluttabilità dell’intreccio tra la Storia e la vita privata. “Tutti noi siamo attraversati dalla Storia e noi tutti attraversiamo la Storia, ma alcuni ci ‘sbattono contro’ in maniera più forte. Quindi diciamo che la Storia 'grande' è tutt’uno con la storia personale e dei singoli, se vuoi disgiungerla fai un’operazione sbagliata perché non riuscirai mai a capire quello che ti è successo, devi tenere conto di questo attraversamento”. Sul piano meramente politico, e proprio rileggendo tragedie come quella di Portella della Ginestra, come non definire disperante il fatto che si voglia mantenere l’Italia un paese di sudditi invece di far crescere cittadini responsabili e consapevoli… “Su Portella della Ginestra grava ancora il segreto di Stato. Che non ci fosse solo Giuliano o solo i mafiosi a sparare e che ci fossero anche altri (venuti forse da oltre oceano) è stato accertato grazie all’apertura degli archivi della CIA. Se la CIA ha aperto il suo archivio, perché l’Italia no? In un paese la cui storia è una storia nascosta di violenze e prevaricazioni c’è una democrazia bloccata. Per questo l’Italia è un paese che gira su se stesso e non sa mai trovare la sua via. Documentandomi per scrivere il romanzo ho trovato cose inquietanti, penso ad esempio all’intervista che fece Deaglio nel 2006 a Mike Stern (un personaggio che c’è anche nel mio libro), uomo dei servizi segreti americani che una settimana prima del massacro andò a parlare con Giuliano, latitante e ricercato dall’esercito italiano. Questo signore è diventato ricchissimo e Deaglio lo intervista in una nave militare da lui allestita a museo e ancorata nel porto di New York. Sulla sua scrivania ha una foto di Berlusconi, premiato per il suo anticomunismo proprio da Stern. Come non vedere una continuità, un filo che lega tutto…”. Già, come non vedere? inserito da Tiziana Bartolini---NOI DONNE Intervista a Maria Rosa Cutrufelli per l'uscita del suo libro ' I bambini della ginestra' (ed Frassinelli) (22 Luglio 2012)

Nessun commento:

Posta un commento