martedì 24 luglio 2012

Calabria, la strage delle donne

La 'ndrangheta uccide decine di mogli, sorelle, figlie. Per punire il tradimento. In nome di un codice barbaro che sembrava cancellato. In esclusiva la verità su un fenomeno drammatico e oscuro (24 luglio 2012) E' una strage, coperta dall'omertà e dall'indifferenza: 20 donne assassinate, nella sola Piana di Gioia Tauro. Vittime di una brutalità antica, che ha cambiato volto ma resta identica nella sua ferocia atavica: il delitto d'onore. Sì, nel Ventunesimo secolo esiste ancora. Come nel remoto Afghanistan dei talebani, anche in Calabria resiste il codice più feroce, che punisce con la morte il tradimento femminile. La 'ndrangheta ignora la modernità, anzi la trasforma in una colpa. Adesso non ammazza soltanto chi ha una vera relazione, ma persino le ragazze che fanno amicizia sul Web: chattare, intrecciare legami virtuali basta a scatenare la sentenza definitiva. E il matrimonio è indissolubile oltre la morte: la vedova di un affiliato non può rifarsi una vita, riscoprire l'amore. Il clan non lo tollera: pretende che l'onta venga lavata dagli stessi familiari. Figli, padri, fratelli si trasformano in esecutori. Spesso nascondono la verità simulando il suicidio, ma il messaggio di vendetta è chiaro: condiviso da molti nei paesi dove comandano le cosche. I parenti assassini sfoggiano fierezza e orgoglio: lavano con il sangue del loro sangue la vergogna da cui si sentivano macchiati e riconquistano il rispetto della comunità. Adesso alcune giovani coraggiose hanno sfidato questa gabbia di orrore. Sanno di non avere scampo, sanno che per amore sarebbero andate incontro alla morte. Altre donne, magistrati dello Stato, come Alessandra Cerreti, le hanno convinte a collaborare garantendo protezione. Così a queste rivelazioni il procuratore aggiunto antimafia di Reggio Calabria, Michele Prestipino, sta riaprendo le indagini su una ventina di casi, archiviati come suicidio o rimasti senza colpevoli. Tutti delitti d'onore, tutti con lo stesso movente. «La donna che tradisce o disonora la famiglia deve essere punita con la morte», ha detto ai giudici di Palmi poche settimane fa Giuseppina Pesce. Ha trentatre anni, un cognome importante nella Piana di Gioia Tauro e una memoria che sta mettendo in crisi il gotha del potere criminale. I Pesce sono uno dei clan storici di questa valle ai piedi dell'Aspromonte, terra fertile di agrumeti e ulivi secolari dove negli anni Settanta fu costruito un colossale polo siderurgico, inutile cattedrale d'acciaio, con un porto che ha fatto da terminale a qualunque traffico: un sistema che ha arricchito la dinastia mafiosa più potente di Calabria. Lei è nata e cresciuta in quel mondo: il padre e lo zio sono i boss della zona, autorità indiscusse. Il percorso di collaborazione è complicato, tortuoso, sofferto, così com' è stata la sua vita. Conosce il marito ad appena 14 anni, lui ne ha 22. Rimane incinta a 15 anni, il primo di tre figli, e per "riparare" agli occhi del paese deve ricorrere alla "fuitina". Appena maggiorenne si sposa ed entra a pieno titolo nella casata che domina Rosarno, 15 mila anime, tanti, tantissimi omicidi e un'economia interamente nelle mani delle cosche. La quotidianità di Giuseppina è a contatto con killer, esattori del racket, narcotrafficanti. Suo marito è un giovane con aspirazioni criminali e si sente in diritto di trattarla come una bestia. «Mi picchiava perché mi ribellavo, perché dicevo le cose che pensavo, e lui per farmi stare zitta mi aggrediva». Dopo esitazioni e ripensamenti, decide di fidarsi del pm antimafia Cerreti: le racconta sedici anni di botte e segregazioni. Riferisce retroscena mafiosi e storie di altre donne, massacrate perché ritenute traditrici. Quello che doveva essere il suo destino. Dopo tanta brutalità, Giuseppina conosce un uomo gentile, che le dedica attenzioni. Riscopre la gioia, si sente ancora ragazza, è pronta a tutto pur di vivere con lui. Ma sa che il clan non la perdonerà. A salvarla è l'arresto, con l'accusa di aver partecipato agli affari della cosca. «Mi avrebbero ucciso, perché le donne che tradiscono vengono uccise. E' una legge. Ed è successo tante volte in passato, perché qui, in Calabria, ragionano così. Hanno questa mentalità». Davanti ai magistrati ricostruisce fatti concreti: donne fatte sparire, i loro amanti assassinati. Riapre un caso degli anni Ottanta che molti a Rosarno vogliono dimenticare: il dramma di sua cugina Annunziata Pesce, figlia dell'altro boss del paese. In questo caso, addirittura un doppio oltraggio: vuole lasciare il marito per fuggire con un carabiniere di cui si è innamorata. Un'onta inaccettabile, che viola tutti i codici della 'ndrangheta. Annunziata viene prelevata a forza da due persone mentre cammina nel viale principale, in pieno giorno. La caricano su un'auto, che sfreccia via: nessuno ne saprà più nulla. Il carabiniere è trasferito, la scomparsa della donna totalmente dimenticata. Ma la cugina ricorda quello che dicevano in casa e lo mette a verbale: Annunziata è stata ammazzata dai suoi fratelli e il cadavere fatto sparire. di Lirio Abbate---L'ESPRESSO

Calabria, la strage delle donne

lunedì 23 luglio 2012

Portella della Ginestra / Strage di poveri, segreto di Stato

“Sembrava che i fatti si squagliassero, davanti alle Corti dei tribunali! Diventavano fumo, mentre le domande erano sempre là. E sempre le stesse. Chi ha davvero ammazzato Pisciotta? e come e perché e per conto di chi? Chi ha davvero ucciso Giuliano? e come e perché e per conto di chi? Chi ha davvero sparato alla Ginestra? e come e perché e per conto di chi?”. Muove da questi interrogativi l’ultimo avvincente romanzo che Maria Rosa Cutrufelli ha scritto ispirandosi alla strage di Portella della Ginestra. “I bambini della Ginestra” (Frassinelli, pagg 273, euro 18,50) è un atto d’amore verso le vittime della violenza stragista, un gesto di riconoscimento nei confronti di vittime troppo spesso dimenticate. O silenziate dalla stampa e dalla stessa narrazione storica. “Le vittime delle stragi italiane sono state dimenticate, su di loro l’attenzione dei giornali e degli scrittori non si è quasi mai soffermata, invece a me interessava raccogliere la voce di quelli che hanno subito il trauma e che se lo porteranno dietro per tutta la vita”. Il libro affida ai bambini, simbolo di vulnerabilità, il compito di ripercorrere la storia della strage, a partire dalla sparatoria nella piana e poi il calvario delle udienze e dei processi a Viterbo e a Roma. “C’erano tanti bambini a Portella della Ginestra il primo maggio del 1947, perché era una festa, e tre rimasero uccisi. I due protagonisti, Enza e Lillo, hanno visto la strage compiersi e sono vittime, anche loro. Volevo capire il modo con cui hanno reagito, come hanno superato la loro condizione di fragilità. Mi interessava vedere come da tanta fragilità possa nascere la forza necessaria per chiedere giustizia e per farlo in maniera continuata considerando che i processi durano decenni”. Le vittime di Portella della Ginestra sono le prime di una lunga serie di stragi oscure avvenute nel nostro paese. “Mi ha colpito il fatto che, mentre negli anni si sono formate le associazioni dei superstiti o dei famigliari delle stragi, per Portella della Ginestra, che è stata la prima, l’associazione si sia costituita dopo decenni, negli anni novanta”. Quali le ragioni? “Essere vittima di una strage non era considerato un trauma, infatti il lutto, quelli di Portella, se lo sono elaborati da soli e non sono mai stati assistiti dallo Stato, non hanno avuto facilitazioni, non c’è stato riconoscimento né delle ferite psicologiche né di quelle fisiche. E ci sono persone gravemente menomate o che convivono con schegge nel loro corpo”. Perché ti sei interessata proprio a Portella della Ginestra? “In primo luogo perché la strage è avvenuta in Sicilia, che è terra dove sono nata e dove ho vissuto fino a 9 anni... Ricordo ancora la Sicilia feroce di quel tempo, quando i contadini erano trattati come bestie... Ma quella Sicilia si era ribellata, era nato un grande movimento contadino vincitore sia a livello sindacale perché conquistò i decreti Gullo sia a livello politico perché le prime elezioni per la Regione le vinse il 'blocco del popolo', una specie di federazione delle sinistre. Una Sicilia fuori dagli stereotipi, ecco cosa m'interessava raccontare... Teniamo però presente che quel primo maggio del 1947 non ha cambiato solo la Sicilia, bensì anche l’Italia. Come dicono gli storici, ‘dopo Portella niente fu più come prima’. Era l’inizio della guerra fredda che fu sancita col sangue delle vittime di Portella della Ginestra”. Dunque un’Italia alla quale qualcuno ha voluto impedire di maturare una coscienza civica. Le tante stragi costellano il dopoguerra fino ai nostri giorni così come la crescita dei bambini del romanzo è accompagnata da processi che non hanno mai fine. “È difficile elaborare un lutto se la storia non si chiude mai e se non si chiude con giustizia. Come si fa ad uscire dal trauma se ti ripropongono l’ingiustizia? è un continuo supplizio cui sono condannate delle persone innocenti che sono state vittime di una violenza organizzata e programmata da altri. Lavorando a questo libro, mi sono chiesta come sono cresciuti i bambini testimoni di quella tragedia, con quale fiducia nello Stato e nelle istituzioni. Come costruisci una fiducia se viene smentita ogni momento… un dato, questo, che vale per Portella e anche per le altre stragi. I giudici dell’istruttoria decisero a priori che i mandanti fossero tenuti fuori dal processo. A Viterbo e a Roma si processarono solo alcuni degli esecutori. Se la giustizia è monca a priori quello che accade dopo è, al meglio, una giustizia a metà. Da parte dei bambini c’è questo crescere e prendere coscienza di quello che puoi fare cercando giustizia e verità in molti modi. La Storia, come si sa, la scrivono i vincitori, ma i vinti possono trovare il modo di dire la loro verità. Non a caso uno dei protagonisti, dopo aver sperimentato l’impossibilità di avere verità attraverso la via giudiziaria, diventa uno storico, anche se poi non riesce a fare oggetto di studio la sua storia personale perché si rende conto di non poterla vedere con la necessaria obiettività e in una luce per così dire scientifica. Non riesce perché c’è dentro troppo dolore”. Alla fine, però, c’è un modo per uscirne e per ‘guarire’. “Quello che davvero salva, lo dicono tutti i sopravvissuti e gli studiosi, è la relazione con gli altri, il parlare con gli altri, il ristabilire legami sociali e affettivi. Questi due bambini non riescono ad amarsi finché non stabiliscono una relazione di parola”. E quindi si scrivono, perché la parola scritta è “un diaframma”, una protezione ulteriore. Il libro evidenzia la potenza e l’ineluttabilità dell’intreccio tra la Storia e la vita privata. “Tutti noi siamo attraversati dalla Storia e noi tutti attraversiamo la Storia, ma alcuni ci ‘sbattono contro’ in maniera più forte. Quindi diciamo che la Storia 'grande' è tutt’uno con la storia personale e dei singoli, se vuoi disgiungerla fai un’operazione sbagliata perché non riuscirai mai a capire quello che ti è successo, devi tenere conto di questo attraversamento”. Sul piano meramente politico, e proprio rileggendo tragedie come quella di Portella della Ginestra, come non definire disperante il fatto che si voglia mantenere l’Italia un paese di sudditi invece di far crescere cittadini responsabili e consapevoli… “Su Portella della Ginestra grava ancora il segreto di Stato. Che non ci fosse solo Giuliano o solo i mafiosi a sparare e che ci fossero anche altri (venuti forse da oltre oceano) è stato accertato grazie all’apertura degli archivi della CIA. Se la CIA ha aperto il suo archivio, perché l’Italia no? In un paese la cui storia è una storia nascosta di violenze e prevaricazioni c’è una democrazia bloccata. Per questo l’Italia è un paese che gira su se stesso e non sa mai trovare la sua via. Documentandomi per scrivere il romanzo ho trovato cose inquietanti, penso ad esempio all’intervista che fece Deaglio nel 2006 a Mike Stern (un personaggio che c’è anche nel mio libro), uomo dei servizi segreti americani che una settimana prima del massacro andò a parlare con Giuliano, latitante e ricercato dall’esercito italiano. Questo signore è diventato ricchissimo e Deaglio lo intervista in una nave militare da lui allestita a museo e ancorata nel porto di New York. Sulla sua scrivania ha una foto di Berlusconi, premiato per il suo anticomunismo proprio da Stern. Come non vedere una continuità, un filo che lega tutto…”. Già, come non vedere? inserito da Tiziana Bartolini---NOI DONNE Intervista a Maria Rosa Cutrufelli per l'uscita del suo libro ' I bambini della ginestra' (ed Frassinelli) (22 Luglio 2012)

giovedì 12 luglio 2012

VITE SPEZZATE; VITE CANCELLATE ---Non possiamo più aspettare. E’ un grave allarme sociale ma chi nelle istituzioni è davvero deciso a fermare il massacro? ---
71 donne uccise da uomini violenti, decine di altre vittime “collaterali” dall’inizio dell’anno Oggi è ancora Femminicidio vite spezzate vite cancellate ancora quante? Avevamo parlato di escalation. Quattro donne in tre giorni. Ogni giorno a orrore si aggiunge orrore. La donna uccisa nel Trapanese, Maria Anastasi, di 39 anni, madre di altri tre figli (di 16, 15 e 13 anni) e prossima a partorire il quarto, era scomparsa ieri pomeriggio e l’hanno trovata morta, parzialmente carbonizzata, nelle campagne di Trapani. Si era allontanato dall’auto in cui viaggiavano insieme e al suo ritorno “non l’ha trovata più” così racconta il marito agli inquirenti, i quali dichiarano di non credergli. Si parla di ennesima lite per la presenza dell’amante che l’uomo aveva imposto alla famiglia. Ma se fosse vero che cosa autorizza un uomo in questo paese a pensare che ha il diritto e la forza di comportarsi come vuole, come un talebano con il suo arbitrio totale e tollerato dalla sua comunità e dallo Stato? Forse il fatto che assiste da sempre a comportamenti simili al suo senza che nessuno faccia niente e quindi a essere “strano” sia il comportamento di una donna che non sopporta queste violenze e prevaricazioni quotidiane e che per questo debba essere punita fino alla morte insieme al figlio che sta per nascere? E’ questo che produce l’escalation a cui assistiamo annichilite tutti i giorni? Perché “non c'è dubbio, è una escalation”, così dicevamo all’inizio di questo terribile anno e ancora dicevamo “è allarme sociale”. Come sempre, non ci siamo limitate a denunciare. Abbiamo scritto, già dall’inizio del 2012, alla Ministra Fornero, manifestando la nostra forte preoccupazione e richiedendo un incontro urgente per esporre le nostre proposte per contrastare e prevenire il massacro a cui assistiamo da tempo. Perché si possono fare molte cose per fermarlo. La ministra Fornero che è anche ministra delle pari opportunità e ha la delega per coordinare le politiche contro la violenza maschile non ha mai risposto. Come non ha mai detto nulla. L’assoluta indifferenza di questo ministro ( e per la verità di tutto il Governo, anche di chi firma Appelli contro il femminicidio) a intervenire sul massacro quotidiano di donne a cui stiamo assistendo da mesi non può che lasciarci esterrefatte. Cosa ha a che vedere un simile atteggiamento da parte di “tecnici europei” con tutte le politiche e le raccomandazioni europee contro la violenza alle donne? L’Europa serve solo per le pensioni e la “riforma del mercato del lavoro”. Sempre per togliere e mai per dare? Dobbiamo prendere atto che ignorare il femminicidio sia sintomo di incapacità ad assolvere il proprio ruolo istituzionale? Abbiamo proposto a donne di altre associazioni che condividono l’importanza di contrastare e prevenire la violenza e il femminicidio di lavorare insieme per convincere forze politiche e istituzionali a difendere il diritto alla vita e all’integrità delle donne. Ricordiamo che siamo cittadine di questo stato, ma questo stato mostra livelli di complicità con uomini violenti inaccettabili come ha denunciato anche la rapporteur dell’ONU Rashida Manjoo. http://unionedonne.altervista.org/index.php/comunicati/2012/585-una-convenzione-che-contrasti-la-violenza-maschile.html Non ci siamo accontentate di aspettare una risposta che non arriva, in molte regioni d’Italia le nostre sedi promuovono azioni forti “Stop Femminicidio”, come a Roma per quattro mesi, ogni lunedì, siamo state anche, con le “Donne sul Ponte”, promotrici e partecipi di azioni-lampo di sensibilizzazione delle cittadine e dei cittadini romani. Uomini e donne capiscono e rispondono ma non risponde il governo. Perchè? Non possiamo più aspettare. E’ un grave allarme sociale ma chi nelle istituzioni è davvero deciso a fermare il massacro? UDI - Unione Donne in Italia Roma, 6 Luglio 2012