giovedì 21 luglio 2011

Le donne continuano a non essere rappresentate nelle istituzioni


Politica è tutto ciò che riguarda il cittadino, il civile, il sociale, il pubblico.
Aristotele definisce la politica come “Arte e scienza del governo”. Chi viene eletto deve rappresentare tutti i cittadini, tanto gli uomini quanto le donne. Invece il panorama politico italiano scarseggia della presenza di noi donne. Attualmente nel nostro parlamento ci si limita ad una quota del 19% di donne. Senza considerare che tal misero risultato costituisce il primato nostrano di presenza femminile nei luoghi di decisione (negli anni 70 si calcolava una percentuale del solo 3%) quando, in una situazione paritaria, tale percentuale dovrebbe essere del 50%, permettendo alle donne di rappresentare un secondo occhio sul mondo. Questo divario è diretta conseguenza di un tardivo riconoscimento alle donne dei diritti fondamentali rispetto all’uomo, con un diritto al voto riconosciuto solamente nel 1946 e il diritto dell’Habeas Corpus (Nessun individuo potrà essere arbitrariamente arrestato, detenuto o esiliato) già sancito nella Magna Charta Libertatum nell’Inghilterra del 1200, entra realmente in vigore per le donne con l’Articolo 9 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. Non dimentichiamo infine che è solo del 1996 la prima legge contro la violenza sessuale in Italia. Un’acquisizione dei diritti così lenta pone di fatto la donna in una situazione sociale diversa, di SUBALTERNITÀ’. Una risposta a questa situazione è stata la manifestazione del 13 febbraio “Se non ora quando?”. La manifestazione ha scosso il sempre più lontano mondo della politica e l’anestetizzata opinione pubblica, dimostrando con la sua straordinaria partecipazione che le donne sono diverse le une dalle altre, ma sanno parlarsi, ascoltarsi e capirsi, portando nelle piazze italiane e d’Europa un milione di persone. Siamo consapevoli che la politica fin dai tempi più antichi è sempre stata di patrocinio maschile, ma ancora oggi l’Italia, in tutti i dati forniti dalle organizzazioni internazionali e nazionali, resta un paese in cui le donne continuano a non essere rappresentate nelle istituzioni e ad avere scarse possibilità di carriera lavorativa Il rapporto 2010 sul Gender Gap del World Economic Forum pone il nostro Paese al 74esimo posto nella classifica che misura il divario di opportunità tra uomini e donne in 134 nazioni. Gli unici due settori in cui l’Italia riesce a primeggiare sono il sostegno alla maternità e l’assistenza sanitaria, ma non basta a risollevare una situazione così drammatica. Un’analisi più approfondita dimostra che le donne subiscono trattamenti discriminanti e penalizzanti in campo professionale e lavorativo. Dati alla mano, solo il 47% delle donne lavora, contro il 70% degli uomini, e si riscontra un 25-30% di differenza salariale in meno a parità di impiego (“le donne costano meno in fatto di incentivi e bonus vari”). L’incidenza del precariato delle donne è doppia rispetto all’uomo. Sono le donne le prime ad essere licenziate in caso di crisi. Inoltre molte famiglie sono monoreddito perché la donna non lavora, comportando un conseguente impoverimento economico del paese

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