mercoledì 27 luglio 2011

SIAMO TUTTE NORVEGESI.

ROMA / Siamo tutte norvegesi
GIOVEDI' 28 LUGLIO A ROMA VEGLIA DI DONNE IN RICORDO DELLE VITTIME DELLA STRAGE DI UTOYA
LE DONNE DI ROMA CONDIVIDONO UN DOLORE CHE È DI TUTTE E TUTTI GLI EUROPEI,
E PARTECIPANO AL LUTTO DELLE MADRI E DEL POPOLO NORVEGESE.
NO ALL'INTOLLERANZA E ALL'ODIO XENOFOBO.
PORTA UN FIORE BIANCO E UNA CANDELA.
GIOVEDÌ 28 LUGLIO 2011, ORE 19
DAVANTI ALL'AMBASCIATA DI NORVEGIA, VIA SAN DOMENICO 1
E’ stata promossa da un cartello di associazioni e gruppi di donne della Capitale, la Veglia Cittadina in memoria dei Ragazzi e delle Ragazze Norvegesi, vittime incolpevoli della strage perpetrata con folle disegno criminale nell’isola di Utoya. “Un atto dovuto”, dicono le promotrici, “per condividere un dolore che è di tutte e tutti gli Europei, per essere vicine alle madri ed al popolo norvegese in lutto, ma anche un atto di denuncia e di resistenza contro l’intolleranza e la xenofobia che cerca di seminare l’odio in Europa. Il Novecento ha già vissuto tutti gli orrori e le tragiche conseguenze del delirio nazista, l’Olocausto e la morte di milioni di persone indifese, piccoli e grandi, sono lì a ricordarcelo. Oggi piangiamo i giovani laburisti norvegesi vittime della stessa violenza, e saremo davanti all’ambasciata norvegese con un fiore bianco e una candela a manifestare la nostra partecipazione al lutto e la nostra solidarietà”.
NOI DONNE

martedì 26 luglio 2011

Spagna: Una sentenza della Corte Suprema riconosce il lavoro domestico



Una sentenza della Suprema Corte contribuisce a fare un passo in più nel riconoscimento del lavoro domestico. La sentenza ha riconosciuto un compenso di 108.000 € ad una donna dopo quindici anni di matrimonio in regime di separazione dei beni, per i lavori svolti in casa.Per la quantificazione si è fatto ricorso al salario di una lavoratrice domestica moltiplicato per gli anni di matrimonio
La Corte ha accettato la decisione del Tribunale di primo grado di Móstoles, successivamente revocata del Tribunale Provinciale di Madrid, con la quale Maria Piedad Fa sarà ricompensata con 108.000 euro, dopo il suo divorzio per aver contribuito per quindici anni in regime di separazione dei beni alle spese familiari, con i lavori domestici e la cura della figlia.
La sentenza chiarisce che "il lavoro domestico non solo è una forma di contributo, ma costituisce titolo per ottenere un risarcimento nel momento della fine del regime".
Per la quantificazione si è fatto ricorso al salario di una lavoratrice domestica moltiplicato per gli anni di matrimonio. In questo caso la cifra è stata quantificata in 600 euro mensili. Maria Piedad Fa, laureata in legge, non ha mai esercitato una professione o qualsiasi altro lavoro durante i quindici anni di matrimonio, dedicandosi esclusivamente alle faccende domestiche e alla cura della figlia.
Il riconoscimento della Corte non crea giurisprudenza, perché occorrono ancora due decisioni in questa direzione, ma serve affinché "sia riconosciuto il lavoro svolto in casa. Un lavoro molto dimenticato" ha commentato l’avvocata Themis. Non sono mancati su Internet sprezzanti commenti a questa sentenza.
Villar-Pérez ricorda però, che il lavoro domestico è molto di più che "lavare una tazza o stirare una camicia".
Si tratta di una serie di compiti in aggiunta alla rinuncia di un’aspettativa professionale e di carriera.

giovedì 21 luglio 2011

Le donne continuano a non essere rappresentate nelle istituzioni


Politica è tutto ciò che riguarda il cittadino, il civile, il sociale, il pubblico.
Aristotele definisce la politica come “Arte e scienza del governo”. Chi viene eletto deve rappresentare tutti i cittadini, tanto gli uomini quanto le donne. Invece il panorama politico italiano scarseggia della presenza di noi donne. Attualmente nel nostro parlamento ci si limita ad una quota del 19% di donne. Senza considerare che tal misero risultato costituisce il primato nostrano di presenza femminile nei luoghi di decisione (negli anni 70 si calcolava una percentuale del solo 3%) quando, in una situazione paritaria, tale percentuale dovrebbe essere del 50%, permettendo alle donne di rappresentare un secondo occhio sul mondo. Questo divario è diretta conseguenza di un tardivo riconoscimento alle donne dei diritti fondamentali rispetto all’uomo, con un diritto al voto riconosciuto solamente nel 1946 e il diritto dell’Habeas Corpus (Nessun individuo potrà essere arbitrariamente arrestato, detenuto o esiliato) già sancito nella Magna Charta Libertatum nell’Inghilterra del 1200, entra realmente in vigore per le donne con l’Articolo 9 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. Non dimentichiamo infine che è solo del 1996 la prima legge contro la violenza sessuale in Italia. Un’acquisizione dei diritti così lenta pone di fatto la donna in una situazione sociale diversa, di SUBALTERNITÀ’. Una risposta a questa situazione è stata la manifestazione del 13 febbraio “Se non ora quando?”. La manifestazione ha scosso il sempre più lontano mondo della politica e l’anestetizzata opinione pubblica, dimostrando con la sua straordinaria partecipazione che le donne sono diverse le une dalle altre, ma sanno parlarsi, ascoltarsi e capirsi, portando nelle piazze italiane e d’Europa un milione di persone. Siamo consapevoli che la politica fin dai tempi più antichi è sempre stata di patrocinio maschile, ma ancora oggi l’Italia, in tutti i dati forniti dalle organizzazioni internazionali e nazionali, resta un paese in cui le donne continuano a non essere rappresentate nelle istituzioni e ad avere scarse possibilità di carriera lavorativa Il rapporto 2010 sul Gender Gap del World Economic Forum pone il nostro Paese al 74esimo posto nella classifica che misura il divario di opportunità tra uomini e donne in 134 nazioni. Gli unici due settori in cui l’Italia riesce a primeggiare sono il sostegno alla maternità e l’assistenza sanitaria, ma non basta a risollevare una situazione così drammatica. Un’analisi più approfondita dimostra che le donne subiscono trattamenti discriminanti e penalizzanti in campo professionale e lavorativo. Dati alla mano, solo il 47% delle donne lavora, contro il 70% degli uomini, e si riscontra un 25-30% di differenza salariale in meno a parità di impiego (“le donne costano meno in fatto di incentivi e bonus vari”). L’incidenza del precariato delle donne è doppia rispetto all’uomo. Sono le donne le prime ad essere licenziate in caso di crisi. Inoltre molte famiglie sono monoreddito perché la donna non lavora, comportando un conseguente impoverimento economico del paese

lunedì 11 luglio 2011

La sfida delle donne per un welfare più giusto



Il futuro incomincia oggi. Le donne che in questi mesi si sono spontaneamente e capillarmente organizzate per imporsi come protagoniste visibili e riconosciute nella sfera pubblica non possono esimersi dall'interloquire con l'agenda politica ed economica che si sta definendo in questi giorni.
Non è certo un momento facile. Mentre si stanno valutando i limiti e gli arretramenti di conquiste fatte in tempi più favorevoli, si devono fare i conti con una situazione difficile sotto tutti i punti di vista.

Non si tratta solo di fare i conti con il peso delle conquiste mancate, dell'arretramento della cultura politica, dell'esasperante immobilismo di quella imprenditoriale, del permanere di un monopolio maschile quasi intoccato in tutte le sfere decisionali. Occorre anche definire una agenda economica e politica che sia equa (anche) dal punto di vista delle chance e dei costi specifici per le donne, in un contesto caratterizzato da risorse finanziarie ridotte, dove la discussione sembra riguardare esclusivamente quali diritti acquisiti colpire e quali difendere: con poco spazio per una ridefinizione dei diritti stessi e dei loro soggetti.

Per non rischiare di oscillare tra il velleitarismo e la rassegnazione del piccolo cabotaggio occorre immaginare una agenda realistica nella fattibilità ma intellettualmente e politicamente coraggiosa. Tra i punti di questa agenda mi sembra debbano stare innanzitutto una battaglia contro il monopolio di genere in tutti i posti che contano e un discorso pubblico sui diritti civili. Si tratta di riforme a costo zero dal punto di vista economico, ma molto impegnative e difficili sul piano culturale e politico. Occorre battersi per entrare nei luoghi di presa delle decisioni, ma anche per modificare i criteri formali e soprattutto informali con cui si entra. Il che comporta sorveglianza ma anche spirito (auto)critico.

Affrontare il discorso sui diritti civili è sicuramente difficile per i rapporti interni ad un movimento che si vuole trasversale, dove stanno molte anime che si differenziano in alcuni casi profondamente su temi come la riproduzione assistita, l'aborto, le disposizioni di fine vita, la sessualità. Ma se il movimento delle donne vuole essere una novità sul piano politico deve sviluppare la capacità di affrontare temi conflittuali senza dividersi e senza pretese di monopolio di verità. Se la diversità è un valore, occorre rispettarla senza imporre – anche normativamente – la propria. E viceversa lasciando a ciascuna/o la responsabilità di decidere su di sé, garantendole gli strumenti adeguati, potrebbe essere la prima radicale novità introdotta dal movimento.

Ma il movimento deve intervenire anche sulla manovra finanziaria, perché tocca questioni molto importanti per la vita pratica di ciascuna/o, oggi e nel medio periodo. Non vi è dubbio che la manovra approvata nei giorni scorsi, con i tagli agli enti locali, segna un pesante arretramento rispetto alle condizioni minime di conciliazione tra famiglia e lavoro che sono così importanti per le donne e per la loro possibilità di stare nel mercato del lavoro anche in presenza di responsabilità famigliari. È necessario innanzitutto ridefinire i termini del problema. Il welfare – quello fatto di servizi, ma anche di sostegno al reddito per chi è in difficoltà – non è una spesa improduttiva. È un investimento sociale, in capitale umano e in coesione sociale. Non investire in servizi per la prima infanzia, ad esempio, non significa solo rendere difficile la vita alle madri. Significa anche non investire nelle capacità delle nuove generazioni. Buoni servizi per le persone non autosufficienti sono innanzitutto uno strumento per riconoscere loro dignità e parziale autonomia dalla pur affettuosa solidarietà dei famigliari (se e quando c'è).

Affrontando la questione del welfare, il movimento delle donne non potrà esimersi dall'affrontare anche quello dell'età alla pensione per le donne nel settore privato. Perché non proporre uno scambio tra il mantenimento delle risorse per il welfare dei servizi e un anticipo dell'innalzamento graduale della pensione al 2012? La data di inizio della, lentissima, gradualità è troppo spostata in avanti, quasi di una generazione. Proponiamo invece un patto tra generazioni di donne, con le madri che accettano una graduale dilazione della propria andata in pensione in cambio di servizi per le figlie e i nipoti. Ovviamente sotto il controllo di donne presenti massicciamente in tutti i luoghi che contano. Perché, come abbiamo visto, dei patti fatti con gli uomini, specie in politica, non ci si può fidare.

di Chiara Saraceno, da Repubblica, 11 luglio 2011

venerdì 1 luglio 2011

NON CI SONO MISURE A SOSTEGNO DE

onne in Parlamento: cosa, chi/Età pensionabile donne - di Paola Avetta
Proteste per il mancato ultizzo dei fondi per le politiche di conciliazione
inserito da Redazione
Un'autentica preoccupazione serpeggia in Parlamento a proposito dell'innalzamento dell'età pensionabile delle donne. Le proteste in corso, data la mancata utilizzazione per misure a sostegno delle donne ( per l'avviamento al lavoro e la conciliazione tra lavoro e famiglia) del "tesoretto" accumulato con l'innalzamento dai 60, ai 65 anni dell'età pensionabile delle dipendenti pubbliche si accompagnano, in queste ore, all'accensione dei riflettori sul prossimo Consiglio dei Ministri convocato per Giovedì. Lì dovrebbe essere varata la manovra economica e al suo interno "si dice" anche un nuovo innalzamento dell'età pensionabile delle donne. Questa volta riguarderebbe le lavoratrice del settore privato e "si dice" il risparmio che ne deriverebbe farebbe entrare nelle casse dello Stato ben 10 miliardi di Euro: più del doppio del tanto conteso tesoretto. Le donne dell'opposizione sono già sul piede di guerra e si indignano:"Il Governo spreme le donne come limoni" dice la senatrice Vittoria Franco del PD "da una parte toglie gli anni di pensionamento anticipato rispetto agli uomini e che avevano il valore di una compensazione per il doppio lavoro svolto in precedenza , dall'altra traduce i tagli agli enti locali e alla scuola in tagli ai servizi offerti alle famiglie e infine non compensa con altre misure di sostegno alla donna lavoratrice il risparmio ottenuto con l'eliminazione del sostegno offerto dal pensionamento anticipato." Questo dimostra quanto contano le donne per Berlusconi : "nulla!" conclude la senatrice Franco.
Intanto si tenta anche di sensibilizzare le donne della maggioranza perchè si oppongano a questa nuova misura giudicata ingiusta per il genere "donna". Dal Pdl per ora non vengono segnali ma molte speranze si concentrano sulle contrarietà che la Lega oppone al varo di questa annuale manovra.