lunedì 30 agosto 2010

La via femminile al Potere.


Tiziana Bartolini
Che l’autunno si prospetti ‘caldo’ è un’ipotesi, che sarà problematico è una certezza. La crisi che si è prodotta nel governo Berlusconi con l’uscita dal PdL di Fini e dei parlamentari che hanno dato vita a ‘Futuro e libertà’ avrà ripercussioni notevoli, e tutte da sperimentare, sul versante politico. I prossimi passaggi ci diranno se si tratta di un assestamento di potere interno al centrodestra o se, invece, si è avviato un mutamento genetico del quadro politico destinato ad aprire la strada alla ‘terza Repubblica’, o a qualcosa di simile. In tanto sommovimento, come donne che facciamo, che diciamo? Siamo molto indaffarate tra femminicidi incessanti, calo dell’occupazione e dei redditi di contro al prolungamento della vita lavorativa. Non bastasse già questo, ci dobbiamo anche sobbarcare l’onere di contrastare continui tentativi di rimettere in discussione leggi o posizioni conquistate. La fatica è ancora più gravosa quando le firme in calce a proposte di legge o circolari ministeriali sono di genere femminile. Si dirà che le donne non hanno mai avuto una posizione univoca e che anche in passato, di fronte alle lotte per il divorzio o per la regolamentazione dell’aborto, non erano poche le voci dissenzienti. La novità, mi pare, è che oggi quelle voci si sono fatte più minacciose in forza dei ruoli di potere da cui provengono. Quelle che ieri erano opinioni ora diventano atti di governo, nazionale o territoriale. Di fronte a questo cambio di passo è sufficiente riorganizzare le fila di un movimento di donne avendo come riferimento le esperienze passate? Possiamo affidare solo a facebook il compito di rinnovare linguaggi e metodi? La questione mi pare essere più complessa e riguarda, nel profondo, l’idea della Politica e del Potere e di come il pensiero femminile si pone in relazione interna ed esterna a queste dimensioni. Sono tante, anzi troppe, le donne che hanno accettato le ‘regole del gioco’ (maschili) per ottenere un posto, una candidatura o un seggio. Sono tante, anzi troppe, le donne che non si sono sottomesse a queste logiche. E il ‘sistema’ le ha espulse. Ma quale è una o la via ‘femminile’ al potere? Abbiamo discusso di quote, ma non di come riconoscere, promuovere, sollecitare il femminile al comando e le (poche) donne che hanno infranto il soffitto di cristallo o imitano pensieri e metodi maschili o appaiono smarrite o sono ininfluenti. È arrivato il momento di fare un po’ di ordine e di spiegarci - da un punto di vista di genere - quello che proprio non va bene e di chiedere conto di quello che dicono e fanno alle donne ‘che decidono’. Nella politica e non solo. È positivo che una donna sia presidente di Confindustria se non pensa e agisce diversamente da chi l’ha preceduta? Facciamoci la domanda e diamoci una risposta. Tanto per capire da dove dobbiamo ri-partire, anche considerando la crisi globale e il nuovo indispensabile per superarla.

sabato 28 agosto 2010

Pubblica e privata, non è la stessa scuola



Pubblica e privata, non è la stessa scuola
Una certa destra attacca il Risorgimento. È coerente con un disegno reazionario che riguarda anche la scuola
Stefania Friggeri
Rileggere la “Storia dell’educazione popolare in Italia” di D. Bertoni Jovine, un classico della storiografia pedagogica, sarebbe molto istruttivo in questi tempi in cui si rischia di tracciare nuove vie verso il futuro senza aver riflettuto in modo approfondito sull’eredità del nostro passato, come dimostra il chiacchiericcio mediatico nei salotti tv sul Risorgimento (l’anno prossimo cadono i 150 anni dalla proclamazione dell’Unità d’Italia). Leggiamo: raggiungere l’obiettivo di scolarizzare le bambine rimaneva molto difficile sia prima che dopo l’Unità perché “C’era di mezzo un pregiudizio secolare che la Chiesa e i governi avevano perpetuato e che aveva portato all’analfabetismo integrale del sesso femminile delle classi povere, appena temperato nelle classi agiate”. Per le bambine dunque solo cucito e catechismo perché il sapere, inutile alle madri, avrebbe potuto allontanarle dalla modestia, ovvero dalla virtù che, insieme alla sottomissione, dava valore alla donna. E se la maestra voleva insegnare a leggere, scrivere e far di conto? Nello Stato della Chiesa avrebbe dovuto presentare la domanda e aspettare speranzosa la risposta. Nelle scuole parrocchiali dello Stato della Chiesa inoltre le materie scientifiche non erano insegnate perché “i lumi sono sempre volterriani, sono il mito della ragione contro la fede” (ivi), ovvero: “tutte le scienze che inducono il fanciullo all’osservazione spregiudicata dei fatti storici e naturali sono scienze diseducative, se per educative si intendono soltanto le suggestioni che rafforzano la fede” (ivi).
Ma sono gli anni in cui si avvia anche in Italia la rivoluzione industriale e la borghesia emergente, che ha investito capitali ed energie, chiede allo stato una scuola pubblica che, eliminato l’anacronismo di tenere il mondo del sapere lontano dal mondo del lavoro, risponda al bisogno di una manodopera qualificata. Il clero, che da sempre detiene il monopolio sull’istruzione, consapevole anche del fatto che possedere la direzione della cultura popolare equivale a possedere un mezzo di dominio, attiva una resistenza, tenace ma infruttuosa: nel clima agitato dai rivolgimenti che attraversano l’Europa, i tempi si sono fatti maturi per le riforme e il Parlamento subalpino vota la legge Casati (1859): nella scuola viene stabilita l’uguaglianza per i due sessi, è previsto un corso superiore (facoltativo) vicino a quello elementare (obbligatorio), viene iniziato un percorso verso la laicità, che sbocca nel 1877 nella legge Coppino. Con la quale, abolita la figura del direttore spirituale nel corso superiore, si dispone genericamente che la scuola provveda ad insegnare i “doveri dell’uomo e del cittadino”.
La Chiesa sembra sconfitta ma in verità le riforme e l’impegno per l’unificazione nazionale nascono dai “cattolici adulti” di quel tempo, i quali vedevano la fine del potere temporale come un’opportunità per il risorgimento della Chiesa stessa. Così infatti si esprimeva Cavour dopo la promulgazione delle leggi Siccardi: “Ora che la società posa sul principio dell’eguaglianza, sul principio del diritto comune, credo che il clero cattolico saprà molto bene adattarvisi, saprà farli suoi e con questo vedrà crescere la sua influenza, la sua autorità.”
Ma la Chiesa rifiuta i rapporti con lo Stato secondo l’impronta liberale e si arrocca in una visione conservatrice condannando col Sillabo il liberalismo, la democrazia, le libertà individuali e il socialismo. Saranno poi i socialisti, col loro municipalismo riformista, a caricarsi del compito storico di colmare le carenze dello stato liberale in materia di educazione popolare e di promozione del lavoro femminile, mettendo in primo piano la lotta all’analfabetismo. Un percorso interrotto dal fascismo che fa della scuola il cemento di una società di classe: selezione, licei come luogo esclusivo di formazione della classe dirigente, rinuncia dello Stato a una propria scuola dell’infanzia a favore di un quasi completo monopolio parrocchiale.
Non a caso figlia di quello che è stato giustamente definito “secondo Risorgimento”, sarà la Costituzione repubblicana a dettare un alto profilo di politica egualitaria nel campo dell’educazione e della condizione femminile. E verranno così, grazie soprattutto ai movimenti di massa, con l’UDI in primo piano, le leggi di tutela della maternità, l’istituzione della scuola media unica, la scuola materna statale (quasi la violazione di un tabù), la legge sui nidi. La storia tuttavia non è un processo lineare e sono possibili drammatici salti all’indietro, come quello che sta tramando il duo Tremonti-Gelmini: in nome della famiglia e della libertà d’insegnamento (quando servono i valori liberali vanno recuperati) la scuola pubblica viene mortificata a vantaggio di quella privata (leggi cattolica). Come non vedere allora che l’aggressione di certa destra contro il Risorgimento si spiega anche all’interno di un disegno reazionario che tende ad allargare oltre la Lombardia il modello di scuola Formigoni-CL.?

venerdì 27 agosto 2010

Il lavoro (nero) di casa



Alle donne continua ad essere assegnato un ruolo prevalentemente domestico-assistenziale
Gianna Morselli
In una trasmissione televisiva, fascia mattutina, scopriamo che la signora Maria impiega più o meno 200 ore all'anno per stirare gli indumenti del suo nucleo familiare, cinque settimane lavorative, ovviamente a titolo gratuito e, se vogliamo essere sarcastiche, nemmeno pagate “in nero”.
Ma c'è di più, il suggerimento, che è scaturito, è veramente illuminante su come manchi completamente la consapevolezza, in generale, della gravità di certe affermazioni. Il consiglio sicuramente dato a fin di bene, per le tasche delle famiglie italiane, è stato quello di stirare la sera dopo le 20 e nei giorni festivi, la tariffa elettrica in quelle fasce, a partire da questo mese, costerà meno e si potranno risparmiare ben cinque euro!
Care signore, non basta che si lavori otto ore al giorno ma per finire in bellezza una giornata di meritato sfruttamento, abbiamo il privilegio di continuare a lavorare “ in nero” anche la sera dopo avere preparato la cena, lavato i piatti e riassettato. Se poi vi annoiate il sabato e la domenica potete impiegare il tempo stirando, oppure riempire la lavatrice più volte perchè potrete in questo modo risparmiare sulla bolletta dell'elettricità. Mi rendo conto che questo è solo un piccolo esempio, anche banale, su come veniamo considerate noi donne ma se iniziate ad osservare e ad ascoltare con occhi e orecchie in maniera oggettiva i messaggi che ossessivamente ci vengono somministrati da mamma TV vi accorgerete come ci venga instillato chirurgicamente il concetto che il nostro ruolo è prevalentemente di servizio: domestico-assistenziale, ovviamente senza percepire alcun compenso. La nostra natura, ci viene insegnato fin dalla più tenera età, è costituita da un prorompente e impulsivo bisogno di prendersi cura di tutto ciò che ci circonda e in modo particolare della casa, di un marito, genitori anziani ed eventuali figli , senza dimenticare i nostri amici a quattro zampe. Oltre a questo, quando si è cresciute, ci viene suggerito che dobbiamo essere sempre raggianti, in ordine, truccate e pronte all'amplesso. Sul lavoro poi dobbiamo dimostrare che ci meritiamo lo stipendio che ci viene concesso, anche se a pari lavoro un uomo guadagna mediamente il 30% in più di noi. Eppure nonostante tutto queste ingiustizie di genere, continuo a pensare che siamo noi la parte propulsiva del genere umano! Ma allo stesso tempo comincio fortemente a tentennare sulla capacità delle donne di rendersene conto!


(23 agosto 2010)

lunedì 9 agosto 2010

IL CORPO, IL POTERE POLITICO E IL POTERE ECONOMICO

di Maria Laura Di Tommaso 13.07.2009
In questi ultimo periodo della politica italiana siamo stati sollecitati a riflettere sulla relazione tra uso del corpo e potere, potere economico e potere politico. Analizziamo da un punto di vista economico quanto sta succedendo: dal lato della domanda e dal lato dell'offerta.
Dal lato dell'offerta, in un certo senso, tutti usiamo il corpo per guadagnare, chi usa la voce, chi usa le mani, chi usa altre parti del corpo. In una situazione di forte disparità economica (il differenziale salariale tra uomini e donne in Italia è tra il 20 e il 30 per cento) saranno le donne ad utilizzare di più alcune tipologie di lavoro come vendere l'immagine del proprio corpo, prestarla per servizi di escort, oppure per vendere servizi sessuali. Dal lato dell'offerta non sembra ci siano domande rilevanti. L'uso del corpo delle donne e degli uomini fa parte di una logica economica molto chiara che è alla base dei modelli di economia del lavoro. E' una questione di salario orario e di disparità economica. Politiche che diminuiscano la disuguaglianza economica avrebbero un effetto negativo sull'offerta.
Molto più complessa è l'analisi della domanda. Tuttavia mai come in questa stagione della politica italiana e' emersa chiaramente la logica della doppia morale. Una logica molto vecchia che ha radici profonde anche in certo cattolicesimo. Perche' doppia morale? Da un lato si approva un disegno di legge (approvato dal Consiglio dei Ministri l'11 Settembre 2008) che prevede pene severe per chi compra o vende servizi sessuali in luoghi pubblici cioe' un disegno di legge di stampo proibizionista, dall'altro si utilizza il corpo come richiamo sessuale per aumentare l'audience dei programmi televisivi e si accetta una mentalita' di potere che "utilizza" il corpo delle donne in modi diversi inclusi servizi di escort e servizi sessuali.
Questa doppia morale ha effetti diversi sulla domanda; se il disegno di legge venisse approvato in Parlamento e se ci fossero sufficienti risorse in termini di controlli per penalizzare i clienti, un primo effetto sulla domanda potrebbe essere di scoraggiamento. A questo effetto si aggiungerebbe anche un effetto di occultamento del fenomeno; si ricorda infatti che il disegno di legge proibisce sia di vendere sesso che di comprarlo in luoghi pubblici, ma non si pronuncia se lo scambio avviene in luoghi privati. D'altro lato, invece, il continuo utilizzo di immagini di corpi come richiamo sessuale nei programmi televisivi e l'accettazione di una mentalità in cui le donne sono considerate oggetti da mostrare, da "utilizzare" ha un effetto positivo sulla domanda.
Le interpretazioni che la maggior parte delle testate giornalistiche ha contributo a diffondere sulle questioni che riguardano il corpo, il potere politico e il potere economico sono sostanzialmente di due tipologie: da un lato si sottolinea che l'attuale maggioranza politica ed in particolare il Presidente del Consiglio abbia una visione delle donne come oggetti da utilizzare, dall'altro si sottolinea l'importanza della divisione tra vita privata e vita pubblica.
La prima e' riduttiva, la seconda incoerente.
La visione che accentua l'uso del corpo delle donne come oggetti da mostrare, da "utilizzare" di cui vantarsi in un certo mondo politico, corrisponde senz'altro a quanto abbiamo appreso da alcune interviste con Maria Teresa De Nicolò e Patrizia D'Addario (donne che hanno rilasciato interviste alla Repubblica e sono state chiamate a testimoniare dai magistrati di Bari come persone informate dei fatti) e dallo stesso avvocato del Primo Ministro.
Tuttavia è riduttiva. E' riduttiva perché non considera che quello che conta qui non è tanto la visione della donna ma la visione del potere. Se infatti le preferenze sessuali degli uomini di potere fossero diverse non si esiterebbe a "usare" anche uomini. Inoltre non sappiamo, perché non è verificabile nel nostro contesto politico, se un potere politico femminile utilizzerebbe gli stessi strumenti. Non è verificabile ma molti studi nel settore del mercato del sesso mostrano che la richiesta di prestazioni sessuali maschili per clienti donne sia in aumento. Quindi clienti americane o europee che richiedono servizi di escort e servizi sessuali a pagamento a uomini che provengono da paesi in via di sviluppo (Brasile, Cuba, Bahamas). Anche una visione superficiale dei quotidiani, di riviste e di programmi televisivi ci conferma che l'uso del corpo maschile non solo di quello femminile serve per vendere il prodotto.
L'altra posizione quella che invoca la divisione tra vita pubblica e vita privata è anche molto difficile da sostenere. Questa divisione potrebbe essere invocata da un governo che non si pronunci su questioni morali. Un governo che non invochi la morale a sostegno di scelte e di proposte di legge sulla procreazione assistita, sul testamento biologico, sulla prostituzione. Un governo liberale nel senso storico del termine. Ma non da questo governo.
Quindi l'argomento è molto più ampio. Dal lato dell'offerta, una situazione di povertà e di disuguaglianza economica e, dal lato della domanda, una mentalità della maggioranza delle persone italiane che accetta che il potere si eserciti anche sull' "uso" del corpo delle donne. Ma potrebbe essere anche di quello degli uomini. Infatti quello che conta qui è la disuguaglianza di potere e di risorse economiche.


» GIORNALI CHE OFFENDONO LE DONNE , Daniela Del Boca e Nadia Urbinati 03.07.2009
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giovedì 5 agosto 2010

IO,ELVIRA E L'OMBRA DI SCIASCIA


Io, Elvira e l’ombra di Sciascia
Ferdinando Scianna omaggia l'editrice: 'Rivoluzionò l'isola'
Guardavano la storia e nella storia, musulmana, romana, bizantina e di chiunque altro fosse sbarcato per poi andare via, volevano rimanere. Elvira Sellerio e Leonardo Sciascia, di fronte alle possibilità di un’isola, non fuggirono. E oggi, che a 74 anni, la prima saluta il mondo al termine di una malattia tenuta tra le pieghe del pudore raggiungendo il secondo, ricostruire i frammenti di discorso amoroso che permisero il sogno intellettuale e concretissimo di una casa editrice che a migliaia di chilometri da Milano, in Via Siracusa a Palermo, proponeva un proprio modello culturale senza compromessi, è tutto tranne che un esercizio inutile. “Inventarono, dal nulla, un miracolo”. La sintesi di uno dei più importanti fotografi del mondo, Ferdinando Scianna, 67enne, apolide di Bagheria, trascinano indietro. Alla Sicilia ventosa del 1969, l’anno in cui Elvira Sellerio trasformò l’autunno caldo in un soffio di cambiamento. Amico di Berengo Gardin, Borges e Cartier Bresson: “Ma il più caro fu Leonardo”. Scianna fu testimone a colori – “Proprio io che ho sempre sostenuto di pensare e guardare soltanto in bianco e nero” – dei primi incoscienti passi di un’impresa che amici e nemici, equamente, sconsigliavano. “Vi schiacceranno”. Si sbagliavano. Sellerio, con la copertina blu e il volume inversamente proporzionale al valore delle opere, è ancora lì. Più forte della vita, meno crudele della morte. L’autore de “Il giorno della Civetta” e Gesualdo Bufalino, Camilleri e Canfora, riflessioni, provocazioni, prodigi. Scianna vide. Ora racconta.

Cosa rappresentò Elvira Sellerio?
La casa editrice era il suo sogno. Con Leonardo parlava spesso del fatto che c’era stata una stagione importante dell’editoria siciliana e di quanto fosse fondamentale rinnovarla.

Leonardo ed Elvira, soli contro l’establishment.
Quando era a Caltanissetta, Sciascia collaborava con un editore indigeno, omonimo, ma non parente. Faceva una rivista in cui pubblicava Pasolini. Con Sellerio adottò lo stesso criterio. Per Elvira, fin dal princìpio, Leonardo diede tutto e ogni sforzo compì. Scriveva qualunque cosa. Anche i risvolti di copertina.

Anche quelli?
Mi creda. La nascita di Sellerio fu un evento a cui dedicò una passione straordinaria. Notte e giorno, senza risparmio.

Ricorda gli inizi?
Mediati dal racconto di Leonardo. Elvira la incontrai qualche volta, ma Sciascia non mi teneva a digiuno di particolari. Come tutti gli avvii, anche quello di Sellerio fu complicato e difficoltoso.
La prima volta che si videro, lui timida, lui sulle sue, parlarono di letteratura. Pasternak, il Dottor Zivago.
Lui era già Sciascia, lei non ancora Elvira Sellerio. Leonardo le offrì intuizioni considerevoli ma lei sapeva bene cosa fare. Recuperava reliquie dai cataloghi di libri perduti, sconosciuti, oppure pubblicati e poi dimenticati.

Esempi?
Mi ricordo che riuscì a far diventare un piccolo bestseller la grammatica siciliana.

Il rapporto tra Sciascia e Sellerio. Due introversioni allo specchio.
Sellerio fu un cenacolo intellettuale, nella miglior accezione del termine. Leonardo era un uomo di circolo. La mattina scriveva e poi nel pomeriggio raggiungeva la piazza. Lì vibrava il cuore del paese. Letteratura, facce, persone.

Sellerio fu la sua piazza palermitana?
Esattamente. A un certo punto, anche la Sellerio divenne una sorta di agorà. Una terra di mezzo in cui si incontravano visioni, si analizzava il mondo, e si verificava senza preavviso, il circuito virtuoso delle idee.

Una bella cosa.
Come dovrebbero essere lecase editrici e come non sono più da tempo.

A Sciascia, Sellerio piaceva.
Per me una casa editrice è solo il metro che mi dà la misura dell’episodicità delle relazioni. Ho un libro, chiedo di pubblicarlo, consegno il materiale. Per Elvira e Leonardo, era diverso. Sarà stata la Sicilia di quegli anni o il verificarsi di tutte le condizioni ideali. Ma Sellerio era speciale.

Speciale come?
Piccola, libera, coraggiosa. Come sempre sono le imprese quando nascono.

Lei è stato in India, In Africa, in Bolivia. Nella Sicilia in cui Elvira Sellerio scelse di fermarsi, le capita mai di tornare?
Non la biasimo e anzi, ho capito la sua scelta. Sa come sono queste cose? Uno abbandona con propositi non concilianti: “Non mi rivedono neanche morto” e poi invece ci ripensa. Non c’è niente da fare. La mia formula? Da 40 anni tento di divorziare dalla Sicilia e quella non ne vuole sapere.

Sellerio era anche sinonimo di conduzione femminile.
Il bastone del comando era tenuto dalle donne e in quelle stanze, la letteratura sembrava fosse un privilegio quasi esclusivamente femminile. Un’anomalia paradossalmente molto sciasciana.

Non mi dica.
Sciascia oltre ad essere siciliano fino al midollo, era anche un genio. Prenda la sua passione letteraria per Maria Messina. Leonardo era generoso. Elvira Sellerio ne avrà sicuramente rafforzato le convinzioni.

Siciliano ma non cieco.
Non ignorava quella che era stata la condizione drammatica della donna nella cultura e nella vita siciliana. Aveva una sensibilità straordinaria, per queste cose, Sciascia. Elvira gestiva la casa editrice con molta perizia e tenacia, e non credo che scegliere delle ragazze per condurre la nave anche nelle difficoltà, rappresentasse una trovata per dispiacere Leonardo.

Lei conobbe Sciascia a 20 anni.
Ogni tanto ci incontravano per strada e gli chiedevano: “e’ suo figlio?” e io, per toglierlo dall’imbarazzo: “No, mi è bastato mio padre”.

Baldassarre. Un uomo duro, all’antica.
Gli confessai che volevo fare il fotografo e lui mi disse: “Di che si tratta esattamente?”. Non seppi spiegarglielo. Era troppo misterioso. Senza volerlo, papà mi aveva dato i mezzi per spandere tra noi l’incomunicabilità.

Amava le complicazioni?
Prenda “Todo modo”. Anche oggi, a distanza di quasi 40 anni, è un libro che fa paura.

Non solo.
E’ anche l’istantanea dell’ambiguità dell’universo intellettuale italiano nei confronti di Sciascia. Lo utilizzano ma non lo risolvono. Lo trattano come un sociologo. Invece Leonardo valeva Dostoevskij. Certe sue riflessioni sul male, le ritrovi solo in “Delitto e castigo”.

Cos’era esattamente la Sellerio?
Il contrario di una casa editrice militante. Una grande comune in cui ragionare di cultura. Un altra maniera di intendere il rapporto con la scrittura, con la società, con la vita.

Possibilità tramontata?
Non è colpa di nessuno ma temo di sì. Allora, fu l’ultima stagione in cui un’ipotesi del genere fu percorribile.

E uno Sciascia esiste ancora?
Non ci sono più i maître à penser , nella realtà italiana e nella cultura, quel tipo di ruolo è difficile da svolgere. A me, che ero un ragazzino di enciclopedica ignoranza, insegnò tutto. Anche l’incontro con Elvira Sellerio, credo, si svolse all’insegna di un’estrema naturalezza.

Lavorò fino alla fine?
Anche quando era a Milano, malato, Leonardo faceva il direttore editoriale. Arrivavano signori incravattati, dirigenti delle case editrici e lui: “Quel libro bisognerebbe riprenderlo”. Tutti a prendere appunti. Di corsa.

Con lui a Parigi, conobbe avventure formidabili.
Una volta mi chiese se avessi mai visto dei film pornografici. Negai e gli risposi: “Ci sono delle sale consacrate al tema”. Andammo, rimanemmo un quarto d’ora. Mi guardò sconsolato: “ce ne andiamo?”. Uscimmo.

Fu deluso?
Profondamente. Dal fatto che un mistero come l’eros, un ambito che non aveva bisogno della conferma di Freud per rivestire la sua importanza fosse così banalizzato da un punto di vista letterario. La finzione della passione lo agghiacciò: “In quella sala, il vero spettacolo osceno eravamo noi”. L’oscenità stava nel trasformare la pulsione in merce.

La curiosità dei 20 anni le è rimasta addosso?
Io invidio gli 80 anni di Berengo Gardin. La sua tenacia, la molla dell’esistenza sempre tesa. Io non ce l’ho più. Faccio solitari con le carte che ho messo insieme negli ultimi 45 anni. C’è un certo disincanto, ma è anche una questione fisica.

Si spieghi.
La fotografia per me è stata una faccenda legata al corpo. E il corpo, purtroppo, se ne va.

La descrivono riottoso alle celebrazioni.
Sciascia suscitava anche atteggiamenti di devozione anche ridicoli, per questo io non ho mai voluto partecipare ai rituali, ai club degli amici. Quando me lo chiedono, li gelo: “Sono un amico di Sciascia, ma senza tessera”.

Non ce n’era bisogno.
La nostra fu un’amicizia, non un amore. Una cosa più importante. Un vero e proprio miracolo. Nell’amore c’è sempre un interesse, qualcuno che ti vuoi portare a letto. Lo scambio delle chiavi della coscienza, invece è meraviglioso, finché non ti fanno quella porcheria che Sciascia mi ha riservato. Morire.

NON CHIAMIAMOLI DELITTI PASSIONALI.....


Non chiamiamoli delitti passionali .
Martedì 13 Luglio 2010 18:27 S. Guglielmi .Sconvolge la quantità di donne morte ammazzate per mano di uomini che in questi giorni affolla le pagine dei giornali, le immagini dei telegiornali, i setting dei talk-show. Sconvolge anche sentire, ogni volta, ancora adesso, definirli ‘delitti passionali’.

Le parole sono importanti e tanto più lo sono quando vengono usate per definire fatti che nulla hanno a che vedere con quelle parole.

Cosa c’è di ‘passionale’ in un delitto? La passione è positiva, è vitale, è costruttiva. La passione appartiene alla prima fase dell’amore, a quel momento in cui si è talmente euforici ed euforiche da fare cose che altrimenti non si farebbero. Ma non certo un delitto!

Il delitto, se commesso da un uomo sulla donna, per il solo fatto che la vittima è una donna, altro non è se non un caso di femminicidio. E di certo non troverà origine nella passione ma nella paura, nel senso di inadeguatezza, nel senso di inferiorità, nel senso di impotenza che evidentemente così tanti uomini provano in confronto alle donne.

Sul punto esistono numerosissimi studi, ricerche, indagini, soprattutto grazie alle associazioni di donne che hanno ampiamente dimostrato la negatività di questa cultura.

Tuttavia, esiste ancora, in una parte significativa della popolazione, la convinzione che eros e thanatos vadano d’accordo ed è ancora fortissima la convinzione che tra donna e uomo un po’ di violenza sia normale ed ancora tantissime sono le donne convinte che se lui le picchia lo fa perché le ama. Ebbene, questa cultura produce solo danni creando confusione nell’educazione di uomini e donne, posti di fronte a modelli sbagliati vissuti come esperienze ineluttabili.

Questa cultura è profondamente sbagliata e parte, anche in questo caso, dalle parole sbagliate.

Stefania Guglielmi e le donne dell’UDI di Ferrara
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