martedì 29 giugno 2010

Il corpo pubblico delle donne.


Dalle buone intenzioni ai fatti: capiamo come e perchè.
Nadia Angelucci
Stereotipi ma anche cultura; vita reale e caricaturale; discriminazioni e ostacoli; immagini degradanti e responsabilità etica; ineguaglianza e parità; rappresentazione e rappresentanza; sessismo e suddivisione tradizionale dei ruoli; dignità e censura. Di questo e molto altro si parla quando si affronta il tema pubblicità, immagine e corpi delle donne. La Risoluzione 2038 del Parlamento europeo del 3 settembre 2008 sull'impatto del marketing e della pubblicità sulla parità tra donne e uomini recita che “considerando che la pubblicità che presenta messaggi pubblicitari discriminatori e/o degradanti basati sul genere; (che) gli stereotipi di genere sotto qualunque forma rappresentano ostacoli per una società moderna e paritaria, (e ) considerando che gli stereotipi possono contribuire a comportamenti che costituiscono altresì vettori di identificazione e che (…) possono contribuire fin dai primi anni di socializzazione del bambino a una discriminazione di genere che consolida il perpetuarsi delle ineguaglianze tra uomo e donna lungo tutto l'arco della vita e l'emergere di comportamenti di segregazione in base al genere, (…) invita gli Stati membri a provvedere con idonei mezzi affinché il marketing e la pubblicità garantiscano il rispetto della dignità umana e dell'integrità della persona, non comportino discriminazioni dirette o indirette né contengano alcun incitamento all'odio basato su sesso, razza o origine etnica, religione o convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale, e non contengano elementi che, valutati nel loro contesto, approvino, esaltino o inducano alla violenza contro le donne”.
Anche supportate da queste considerazioni hanno preso il via una serie di azioni di contrasto alle pubblicità lesive della dignità della donna e l’UDI a marzo ha lanciato “Immagini Amiche”, una campagna maturata nell’ambito della mobilitazione avvenuta con la Staffetta contro la violenza e con l’apporto delle UDI territoriali. Risale a settembre del 2009 la prima delibera di un comune italiano, quello di Niscemi in provincia di Caltanissetta, che recepisce la risoluzione 2038/2008. Ha preso avvio in Sicilia la mobilitazione che ha portato già parecchi comuni italiani ad impegnarsi formalmente a non dare spazi pubblici per messaggi che non rispettino le regole del codice di autodisciplina nella pubblicità. E’ una partita nella quale giocano vari fattori, da quelli puramente etici a quelli economici, ed è un percorso che ha avuto una lunga gestazione. “Ci teniamo a sottolineare che non intendiamo censurare, ma bensì contrastare l’uso di immagini che facciamo riferimento o minimamente supportino gesti riconducibili allo stupro e al femminicidio - Stefania Cantatore dell’UDI di Napoli precisa gli intenti alla base dell’iniziativa perchè la linea di confine con il moralismo e l’ipocrisia è sottile e non deve essere superata -. Non a caso la nostra elaborazione trovò maggiore definizione nell’ambito della campagna ‘Stop femminicidio’ dell’UDI nel 2005 ma il primo passo verso l’idea delle delibere lo facemmo quando nel 2001 chiedemmo a Rosa Russo Iervolino, candidata sindaco, di dichiarare Napoli città libera da pubblicità lesiva e offensiva delle donne. Sempre a Napoli vincemmo la battaglia contro la pubblicità di Radio Kiss Kiss, che ritraeva un apparecchio radiofonico in mezzo alle gambe di una donna. Capimmo che intervenire nella normativa ci avrebbero aiutato a prendere la parola nel mondo della comunicazione contestando laddove c’era sovrapposizione di un’immagine femminile distorta o lesiva della dignità”. A questo punto la questione è capire con quali criteri i comuni decideranno di concedere o rifiutare uno spazio pubblico. Le delibere approvate fanno riferimento alla risoluzione comunitaria ma ogni comune ha poi individuato differenti criteri sia per monitorare la situazione sul territorio che per decidere i criteri in base ai quali la moratoria potrà essere applicata. Il comune di Napoli, ad esempio, propone la costituzione di un gruppo, coinvolgendo differenti assessorati, di sensibilizzazione e di monitoraggio delle pubblicità e delle immagini commerciali. In Campidoglio si è arrivati a deliberare in una data simbolica, lo scorso 8 marzo, su richiesta delle UDI cittadine (UDI Romana La Goccia e UDI Monteverde) e il testo approvato propone la costituzione di una Commissione Tecnica da costituire presso il Gabinetto del Sindaco che, insieme alla Commissione delle Elette, alla Delegata alle Pari Opportunità e alle associazioni impegnate nel riconoscimento dei diritti delle donne, identifichi i parametri di valutazione per definire la pubblicità lesiva della dignità della donna.
Effettivamente la situazione italiana ha raggiunto in questo campo un alto grado di criticità e le delibere hanno senza dubbio il merito di riportarci ad una responsabilità civile collettiva. Ma, parafrasando Brecht, diciamo: “Beato il paese che non ha bisogno di delibere”!


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