Non è un paese per donne "Il nostro paese sottolinea a parole il valore della famiglia, ma non fa granchè per sostenerlo effettivamente..."
venerdì 7 ottobre 2011
Barletta: un evento che ci riguarda tutte ci responsabilizza ancora di più
Un commento alla morte delle operaie tessili di Barletta rimaste coinvolte nel crollo di una palazzina.
Da sempre, ogni 8 marzo in un modo o nell’altro qualcuno racconta l’origine di quella giornata, che fra critiche e consensi comunque ha accompagnato la nostra vita e impegno di donne. Si dice, si racconta che la ricorrenza ebbe origine o fu dedicata alle operaie di una fabbrica tessile di New York che morirono bruciate, dopo giorni e giorni di sciopero… Questa storia mi è tornata in mente mentre leggevo le cronache della tragedia di Barletta, mentre mi domandavo come, in quale modo queste morti tragiche di giovani donne potevamo non solo accompagnarle con il nostro dolore e la nostra rabbia ma non abbandonarle, accettando che come tante altre terribili notizie in pochi giorni svaniscano dalla cronaca e dalla storia; mentre sentivo il bisogno urgente di dire o scrivere qualcosa quasi per dire seppur con parole senza originalità che questo tragico avvenimento riguardava anche me.
Matilde, Tina, Antonella, Giovanna e Maria la figlia dei proprietari del “laboratorio” è stato scritto e detto in decine di articoli e lo ripeto soltanto, erano donne giovani come tante altre, che mentre noi leggiamo e scriviamo continuano piegate al loro lavoro in infiniti scantinati d’Italia, pensando che a loro non capiterà, magari continuando a scherzare, parlare, raccontarsi per far passare il tempo del lavoro nel migliore dei modi, come facevano le mondine che per darsi forza cantavano canzoni arrivate a noi come testimoni di un coraggio e di una vitalità che non s’arrende. La tragedia di Barletta è grande, enorme, umanamente e simbolicamente, per questo, per essere un piccolo spaccato di miglia di altre donne che oggi nel nostro paese al Sud soprattutto ma non solo si adattano si arrangiano ad accettare ogni condizione, senza neanche pensare di contestare perché comunque: c’è almeno “quel poco” con cui aiutare la famiglia o il proprio stesso futuro. Una storia che va detto non è certo nuova, se pensiamo per quanti decenni si è parlato dei caporali che “radunavano le donne" in pulmini, quando gli immigrati erano di là ancora da venire e le portavano a lavorare nelle campagne a prezzi stracciati analoghi a quelli delle nostre operaie.
Ma proprio perché si è lottato tanto per migliorare la condizione dei lavoratori,delle donne abbiamo pensato per anni che alcune pratiche di sfruttamento totale potessero essere superate e che le condizioni fossero cambiate per sempre.
Invece in questa Italia che decade e affonda, proprio sul lavoro come sottolinea efficacemente la copertina di NOI DONNE, la condizione delle donne nella società, nel lavoro è divenuta,a loro spese, la cartina di tornasole del fallimento di un paese, governato in modo indecente. Ma rabbia, malessere dolore non possono farci fermare alla constatazione dei fatti senza pensare a che fare, cosa dire. E allora, non a caso ho scelto NOI DONNE per dire in qualche modo anche la mia e unirmi alla lettera aperta che Tiziana Bartolini ha rivolto a Susanna Camusso ed Emma Marcegaglia dal titolo: Lavoro,Un patto di donne.
Nella lettera di Tiziana vi è una frase che oggi pensando a Barletta appare profetica: "Il lavoro femminile è sottopagato e sempre più precario,anche quando le donne esprimono professionalità qualificate…” Le nostre donne di Barletta credo che dobbiamo dire che svolgessero professionalità qualificate perché solo per questo si riesce a fare bene in condizioni così precarie, in un “impresa manifatturiera" di cui oggi riesce difficile dire tutto il male che andrebbe detto e che sappiamo, per non infierire sul dolore di genitori che lì hanno perso la figlia Donne che se ci fossero state le condizioni solo di qualche anno fa sicuramente sarebbero state bene in alta sartoria ..per produrre quella qualità che ci ha resi famosi nel mondo per i nostri marchi e che oggi viene sostituita in tanti casi da una rincorsa a fare, seppur con tutto il rispetto, quel che fanno i laboratori dei cinesi. Pur di poter scrivere in una concorrenza al ribasso Made in Italy.
Che fare allora? Rafforzare il confronto fra le donne, in ogni realtà dove sia possibile ottenere dei risultati, far crescere la consapevolezza femminile, chiedere a chi ha ruoli di usarli, essere consapevoli che siamo tutte in gioco e “ricacciate” indietro ma anche che come donne abbiamo una forza,una capacità da spendere .. quella forza che chi sa con quanta convinzione: Matide, Tina, Antonella, Giovanna e Maria mettevano nel proprio lavoro e nel proprio impegno convinte di farcela.
E ce l’avrebbero fatta se una società in tante sue espressioni, così poco seria, superficiale, decadente, colpevole tanto da annullare il buono che pure c’è, come la nostra, non avesse ritenuto che le crepe di un palazzo possono essere, non così gravi. Di crepe per altro considerate ininfluenti siamo circondati ma questo governo non sembra preoccuparsene più di tanto mentre il mondo ci guarda sgomento e incredulo..
inserito da paola ortensi--Noi Donne
(05 Ottobre 2011)
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